Negli ultimi due mesi, IT: Welcome to Derry non ha semplicemente terrorizzato il pubblico con le sue scene horror.
La serie HBO ha tessuto una trama di riferimenti, omaggi e connessioni all’universo di Stephen King così fitta da trasformare ogni episodio in una caccia al tesoro per i fan più accaniti. E il finale di stagione, intitolato “Winter Fire” in omaggio alla poesia che Ben Hanscom scrive per Beverly Marsh nel romanzo originale, non fa eccezione. Anzi, alza ulteriormente l’asticella.
L’ultimo episodio della prima stagione si apre con una nebbia misteriosa che avvolge Derry, Maine. Non si tratta di un semplice espediente atmosferico: quella coltre gelida è la conseguenza del risveglio di Pennywise al di fuori del suo normale ciclo di ibernazione. Ma c’è dell’altro. L’aspetto visivo di quella nebbia dovrebbe risultare familiare a chiunque conosca l’opera di King: è un chiaro riferimento a The Mist, la novella in cui una cittadina del Maine viene invasa da una nuvola eldritch popolata da mostri provenienti da un’altra dimensione. Il collegamento è puramente estetico, ma impossibile da ignorare.
La sequenza che segue richiama un altro momento iconico del King-verso. Quando Pennywise scatena il terrore durante uno spettacolo scolastico, gli studenti si precipitano verso le uscite della palestra, solo per scoprire che le porte sono chiuse. Quella scena è un evidente omaggio al climax di Carrie, quando la protagonista sigilla telecineticamente la sala del ballo di fine anno, impedendo a chiunque di fuggire dalla sua vendetta. Il parallelo visivo è così marcato da risultare quasi un tributo dichiarato al capolavoro del 1974.
Ma è nel quinto episodio che la serie aveva introdotto uno degli elementi più affascinanti, sviluppato poi nel finale: la connessione con Doctor Sleep. Dick Hallorann, il personaggio dotato di “luccicanza” che molti ricorderanno da Shining, impara da giovane a intrappolare i fantasmi che lo tormentano in una scatola mentale. Nel finale, gli viene offerta un’arma nuova: un tè preparato con la radice di Maturin. Per i non iniziati, Maturin è il nome della grande tartaruga benevola, nemesi cosmica di Pennywise nell’universo di King. Sebbene l’immagine della tartaruga sia ricorrente nella serie – da Bert the Turtle al ciondolo di Lily, fino al contenitore in cui è seppellito uno dei pilastri – il finale segna la prima volta che il nome viene pronunciato esplicitamente.
E poi arriva il colpo di scena genealogico. Quando l’azione si sposta sul fiume Penobscot ghiacciato, Pennywise rivela a Marge elementi cruciali del suo futuro: sposerà un uomo di cognome Tozier e darà alla luce un figlio di nome Richie. Sì, proprio quel Richie Tozier, il membro più loquace del Club dei Perdenti che alla fine contribuirà a sconfiggere It. Se già sapevamo che i protagonisti della serie erano collegati ai Losers attraverso Will, il padre di Mike Hanlon, questa rivelazione aggiunge uno strato ancora più profondo di connessione generazionale.
Il finale offre anche indizi preziosi sulla natura stessa di Pennywise. La creatura percepisce il tempo in modo radicalmente diverso dagli esseri umani: per lei, passato e futuro coesistono simultaneamente, e la sua nascita è indistinguibile dalla sua morte. Questo concetto richiama inevitabilmente un’altra saga di King, The Dark Tower, dove viene ripetuto spesso che “Ka è una ruota” – un destino malleabile che guida gli eventi con mano invisibile. Il tempo come struttura circolare, non lineare.
C’è spazio anche per una battuta cult, anche se la sua esecuzione rimane discutibile. Quando Pennywise si prepara ad attaccare Marge, le sussurra: “Beep beep, Margie!” Nel romanzo originale, i membri del Club dei Perdenti usavano questa frase per far tacere Richie quando parlava troppo. Purtroppo, come già accaduto nei film IT: Chapter One e IT: Chapter Two, l’utilizzo della battuta risulta fuori contesto – pronunciata dal nemico invece che dagli amici, perde il suo significato originale.
Il finale non si limita a omaggiare il passato: pone le basi per sviluppi futuri. Pennywise assume una forma epica durante lo scontro finale, e la serie comincia appena a svelare cosa sia realmente quella creatura, perché rimanga nascosta sotto Derry e come abbia acquisito la sua forma da clown. Sono domande a cui il romanzo di King fornisce risposte complesse, e che la serie sembra intenzionata a esplorare con calma e reverenza.
IT: Welcome to Derry si conferma così non solo come un prequel fedele, ma come un’opera che dialoga costantemente con l’intero universo narrativo di Stephen King. Ogni nebbia, ogni porta chiusa, ogni radice curativa è un filo che collega storie apparentemente separate, tessendo un arazzo horror che va ben oltre la cittadina del Maine. Per chi ha seguito tutti e sette gli episodi con attenzione, il finale rappresenta una ricompensa sostanziosa: non solo chiude un cerchio narrativo, ma ne apre di nuovi, promettendo che il risveglio di Pennywise è solo l’inizio di qualcosa di molto più vasto.