Nella carriera di ogni grande regista c’è un momento in cui decide di uscire dalla propria zona di comfort e affrontare un territorio inesplorato. Per Robert Zemeckis, quel momento arrivò nel 2000 con “Le verità nascoste”, un thriller soprannaturale che sembrava uscito dalla mente di Sam Raimi più che da quella dell’uomo che ci aveva regalato Ritorno al futuro e Forrest Gump.
Ora disponibile su Netflix, questo film rappresenta una gemma sottovalutata del cinema degli anni 2000, un’opera che all’epoca divise la critica ma conquistò il pubblico con la sua miscela di suspense, mistero e interpretazioni memorabili. La pellicola si apre su una casa da sogno affacciata su un lago nel Vermont, dove vivono Claire e Norman Spencer, interpretati rispettivamente da Michelle Pfeiffer e Harrison Ford. Sono una coppia di mezza età il cui matrimonio mostra le prime crepe. Appena accompagnata la figlia al college, Claire si ritrova sola in quella dimora troppo grande, ancora fragile dopo un incidente d’auto avvenuto l’anno precedente. Norman, scienziato sempre impegnato nel lavoro, è raramente presente, lasciando la moglie in un limbo di solitudine e crescente inquietudine.
La routine di Claire viene interrotta dall’arrivo di nuovi vicini, una coppia i cui litigi violenti non passano inosservati. Quando un pomeriggio sente il grido disperato della donna, Claire inizia a spiare. Poco dopo, la vicina scompare misteriosamente e la protagonista diventa sempre più convinta che il marito l’abbia uccisa, nascondendo il corpo nel lago. Ma non è solo questo a tormentarla: porte che si aprono da sole, rubinetti che scorrono senza motivo, presenze che si manifestano negli specchi. Claire è certa che uno spirito stia cercando di comunicare con lei, di guidarla verso una verità sepolta.
Zemeckis non era nuovo agli esperimenti fuori dal suo territorio abituale. Aveva già diretto episodi di Tales From the Crypt e la commedia horror La morte ti fa bella con Meryl Streep, ma Le verità nascoste rappresentava il suo primo vero tentativo di realizzare un thriller horror puro e senza compromessi. Con un budget di 100 milioni di dollari, l’approccio fu quello di un potenziale blockbuster di fascia media, un film che puntava tanto sull’alta concezione della storia quanto sul fascino delle sue due stelle.
La critica non fu clemente. Roger Ebert assegnò al film solo due stelle su quattro, definendolo “una palude di assurdità”. Eppure, il pubblico rispose in modo completamente diverso. La premessa ad alto concetto di una casalinga trascurata che scopre un omicidio segreto, unita al carisma magnetico di Pfeiffer e Ford, trasformò What Lies Beneath in un fenomeno culturale. Il film incassò quasi il triplo del suo budget, dimostrando che a volte il parere popolare e quello della critica viaggiano su binari paralleli.
Certo, la pellicola è piena zeppa di momenti che richiedono una generosa sospensione dell’incredulità. La sceneggiatura di Clark Gregg presenta colpi di scena che oscillano tra il brillante e il ridicolo, e la prevedibilità di certe svolte narrative è innegabile. Ma c’è qualcosa di irresistibile nel modo in cui Zemeckis costruisce la tensione, dedicando un’ora intera a tessere una rete di indizi, false piste e apparizioni spettrali. La sua ispirazione hitchcockiana è evidente nella pazienza con cui lascia che il mistero si dipani, strato dopo strato.
Michelle Pfeiffer è il cuore pulsante del film. La sua interpretazione di Claire è così coinvolgente che ci fa dimenticare ogni difetto della trama. Quando scopre che le manifestazioni soprannaturali e l’omicidio misterioso sono più personali e vicini di quanto immaginasse, il film cambia marcia in modo drastico. L’ultimo terzo della pellicola abbandona ogni pretesa di realismo misurato e si tuffa a capofitto nel melodramma pulp, regalando colpi di scena così audaci da risultare quasi divertenti nella loro esagerazione.
E poi c’è quella scena nella vasca da bagno. Un momento che da solo giustifica l’intera visione del film. Pfeiffer, paralizzata e in preda al terrore, lotta disperatamente per sopravvivere mentre l’acqua sale inesorabilmente. È una sequenza che ti inchioda allo schermo, facendoti dimenticare ogni buco nella trama, ogni incoerenza narrativa, ogni momento in cui avevi alzato il sopracciglio scettico. In quei minuti finali, nient’altro conta se non tifare per questa eroina come se fosse una maratoneta che affronta gli ultimi metri con una caviglia rotta.
Le verità nascoste non è un capolavoro perfetto, né pretende di esserlo. È un prodotto del suo tempo, intriso di quella sensibilità da inizio millennio che mescolava ambizioni da cinema d’autore con l’appeal del grande pubblico. Robert Zemeckis potrebbe aver cercato un po’ troppo di elevare il materiale oltre le sue possibilità, ma il risultato finale rimane un intrattenimento solido e coinvolgente, un film che sa esattamente cosa vuole essere: un thriller soprannaturale senza messaggi profondi da lasciare, solo pura adrenalina narrativa.
Il fascino nostalgico della pellicola risiede proprio in questa onestà d’intenti. Non cerca di rivoluzionare il genere né di offrire una riflessione esistenziale sulla condizione umana. Vuole solo raccontare una storia di fantasmi, segreti e tradimenti con lo stile e il budget di una grande produzione hollywoodiana. E in questo senso, riesce perfettamente nel suo scopo, offrendo un’esperienza cinematografica che, pur essendo fugace, lascia il segno.
Oggi, a distanza di oltre vent’anni dalla sua uscita, Le verità nascoste merita di essere riscoperto su Netflix non come un classico dimenticato, ma come un esempio perfetto di come il cinema mainstream possa cimentarsi con il genere horror senza perdere la propria identità. È un film che ci ricorda che Harrison Ford non era solo Indiana Jones e Han Solo, e che Michelle Pfeiffer possedeva un talento drammatico capace di elevare qualsiasi materiale le venisse affidato. È pulp, è eccessivo, è a tratti ridicolo, ma è anche tremendamente divertente. E a volte, è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno.