Nel settimo episodio di It: Welcome to Derry, una scena ha lasciato i fan dell’universo creato da Andy Muschietti con il fiato sospeso.

Pennywise appare davanti a Will Hanlon, interpretato da Blake Cameron James, e lo investe con i raggi delle Deadlights, quelle luci ultraterrene che rappresentano la forma più vicina alla vera essenza dell’entità malvagia. Ma chi conosce i film del 2017 e del 2019, o il romanzo originale di Stephen King del 1986, sa perfettamente che Will sopravviverà. Diventerà il padre di Mike Hanlon, membro cruciale del Club dei Perdenti e l’unico che, da adulto, rimarrà a Derry per combattere il mostro. Allora perché questo accanimento? La risposta risiede in un concetto tanto affascinante quanto perturbante: It non sperimenta il tempo come noi.

Pennywise è diventato l’icona del clown spaventoso per eccellenza, ma dietro quel trucco macabro e quel sorriso distorto si nasconde qualcosa di molto più antico e incomprensibile. L’entità che chiamiamo It è un male primordiale che si è schiantato sulla Terra circa un milione di anni prima di Cristo. La sua vera forma, le Deadlights, non è fisica ma dimensionale: uno squarcio in una realtà che la mente umana semplicemente non può elaborare senza impazzire all’istante. In questa forma base, It esiste al di fuori del flusso temporale lineare che governa la nostra esperienza. Per questa creatura, passato, presente e futuro sono un unico continuum visibile nella sua interezza.

Ed è proprio questa visione olistica del tempo che spiega l’ossessione di Pennywise per Will Hanlon. Come ha rivelato Andy Muschietti, co-creatore della serie insieme a Barbara Muschietti e Jason Fuchs, in un’intervista per Crew Call di Deadline, It può vedere cosa accadrà decenni dopo gli eventi del 1962. Sa che Mike Hanlon, il figlio non ancora nato di Will, diventerà la figura centrale del Club dei Perdenti del 1989. Sa che sarà Mike a rimanere a Derry quando tutti gli altri se ne andranno, l’unico a non dimenticare, l’unico a studiare il mostro e a preparare la battaglia finale. E sa, soprattutto, che in It: Capitolo Due sarà proprio Mike a convocare gli amici ormai adulti e riluttanti, orchestrando le azioni che porteranno alla distruzione definitiva dell’entità, quando estrarrà il cuore del clown prima che il gruppo lo schiacci collettivamente.

La logica è tanto semplice quanto agghiacciante: se puoi vedere il futuro e sai che un bambino non ancora nato sarà la tua rovina, allora elimini suo padre prima che possa concepirlo. It non attacca Will Hanlon per ciò che ha fatto, ma per ciò che suo figlio farà. Come spiega Muschietti, dato che It non sperimenta il tempo in modo lineare come gli esseri umani, è perfettamente coerente che torni indietro ad attaccare i protagonisti in epoche diverse, prima ancora che compiano le azioni che li rendono suoi nemici. È una vendetta preventiva che attraversa i decenni, una caccia che inizia prima ancora che la preda nasca.

Eppure, qui emerge un paradosso narrativo tanto intrigante quanto frustrante. Se It può davvero vedere l’intera linea temporale, perché usa le Deadlights su Will invece di ucciderlo direttamente? Una morte certa avrebbe garantito che Mike Hanlon non venisse mai al mondo. Inoltre, se l’entità sa che Will sopravviverà e genererà Mike, e che Mike sarà la sua nemesi, non dovrebbe anche vedere che il suo attacco del 1962 fallirà nel prevenire tutto questo? È lo stesso tipo di loop temporale che rende la saga di Terminator un labirinto di paradossi: se il futuro è già visibile, ogni tentativo di cambiarlo non è forse già parte di quella stessa linea temporale immutabile?

Queste domande trasformano l’universo di Muschietti in qualcosa di straordinariamente complesso. It: Welcome to Derry non è semplicemente un prequel dei due film, ma un’esplorazione ambiziosa della mitologia di Stephen King che i creatori hanno programmato come una trilogia, con ogni stagione che retrocede di altri 27 anni nel ciclo di terrore di It. La serie ha già dimostrato di poter navigare questa complessità senza perdersi nell’oscurità accademica del King-verso, mantenendo un ritmo narrativo coinvolgente anche quando esplora concetti metafisici come la percezione non lineare del tempo di un’entità cosmica.

Il fatto che Pennywise abbia scelto di usare le Deadlights piuttosto che un metodo di eliminazione più definitivo potrebbe suggerire dei limiti alla sua onniscienza temporale, o forse delle regole che governano le sue interazioni con il continuum spazio-temporale che ancora non comprendiamo appieno. Quello che è certo è che l’attacco a Will Hanlon rappresenta uno dei momenti più significativi della serie, un ponte narrativo che collega il 1962 degli eventi di Welcome to Derry al 1989 e al 2016 dei film di Muschietti, creando una saga interconnessa che abbraccia quasi sessant’anni di orrore ciclico.

L’episodio sette ha già superato i film battendoli sul tempo con la morte di un personaggio importante, Rich Santos, dimostrando che Welcome to Derry non ha paura di prendere direzioni audaci. E con i creatori che promettono di esplorare il macroverso di King, rendendo la serie visione essenziale per i fan dell’autore, il progetto si configura come uno dei più ambiziosi nel panorama dell’horror televisivo contemporaneo. La HBO ha dato ai Muschietti e a Jason Fuchs la libertà di costruire qualcosa che va ben oltre il semplice fan service, un’opera che dialoga con l’intera mitologia kinghiana espandendone i confini.

Will Hanlon, interpretato con intensità da Blake Cameron James, diventa così non solo il padre di un eroe futuro, ma il simbolo vivente della natura ciclica e predestinata della lotta contro It. La sua sopravvivenza alle Deadlights non è solo una necessità narrativa per mantenere la coerenza con i film, ma una testimonianza della resilienza umana di fronte a un male che conosce ogni mossa prima ancora che venga giocata. In un certo senso, Will vince semplicemente continuando a esistere, garantendo che suo figlio Mike possa un giorno completare ciò che generazioni di abitanti di Derry hanno tentato di fare.

Mentre la serie si prepara ad addentrarsi ancora più profondamente nelle origini di It e nella natura stessa del male cosmico che terrorizza Derry da millenni, una cosa è chiara: l’ossessione di Pennywise per Will Hanlon non è solo una vendetta personale, ma un tentativo disperato di un’entità apparentemente onnipotente di riscrivere un destino che, forse, nemmeno lei può davvero controllare. E in questa lotta attraverso il tempo, dove ogni generazione passa il testimone alla successiva, risiede il vero cuore pulsante dell’universo di It.

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