Il 2021 è stato un anno di scommesse disperate per Warner Bros. La pandemia aveva lasciato una scia di film in limbo, sospesi tra sale cinematografiche che riaprivano timidamente e una strategia senza precedenti: rilasciare tutto il catalogo simultaneamente su HBO Max.
Alcuni titoli come “Godzilla vs. Kong” hanno cavalcato l’onda del successo, altri sono semplicemente scivolati via nell’oblio dello streaming. Tra questi ultimi c’è Reminiscence, un ambizioso sci-fi neo-noir con Hugh Jackman e Rebecca Ferguson che è passato praticamente inosservato, ma che oggi merita di essere riscoperto.
Diretto da Lisa Joy, co-creatrice di “Westworld”, al suo esordio cinematografico, “Reminiscence” costruisce un mondo in cui il cambiamento climatico ha parzialmente sommerso città come Miami. Le automobili sono un ricordo: ora ci si sposta in barca tra edifici che emergono dall’acqua come relitti di una civiltà perduta. In questo scenario da incubo distopico, la merce più preziosa non è il petrolio o l’energia, ma la nostalgia. E si può ottenerla attraverso una macchina chiamata Reminiscence, un dispositivo ad immersione che permette di rivivere i propri ricordi come se fossero reali.
Nick Bannister, interpretato da Jackman, è uno degli operatori di questa tecnologia. Veterano di una guerra mai nominata, ha fatto della gestione dei ricordi altrui la sua professione, sopprimendo i propri fantasmi interiori. La sua vita cambia radicalmente quando Mae, una cantante di nightclub magnetica interpretata da Rebecca Ferguson, entra nel suo studio. Quello che inizia come una torrida storia d’amore si trasforma in un mistero ossessivo quando Mae scompare senza lasciare traccia, spingendo Nick in una spirale investigativa che metterà in discussione tutto ciò che credeva di sapere.
Quando “Reminiscence” uscì, ricevette recensioni tiepide. Chris Evangelista di SlashFilm gli diede una valutazione mista, riconoscendone l’ambizione ma sottolineandone le imperfezioni. Eppure, con il senno di poi, c’è qualcosa di profondamente affascinante in questo film. Non è rivoluzionario, certo, ma è un mashup spudoratamente pulp che fonde elementi di “Blade Runner”, “Chinatown” e “Vertigo” in un’esperienza che oggi sembra quasi nostalgica di un tipo di cinema che Hollywood non fa più.
La vera forza di “Reminiscence” risiede nella sua visione estetica. Il direttore della fotografia Paul Cameron e il production designer Howard Cummings creano un mondo che è al tempo stesso distopico e stranamente bello. C’è una sequenza di combattimento subacquea che si svolge in un cinema completamente sommerso, un’immagine che cattura perfettamente la malinconia del film: la cultura pop intrappolata sott’acqua, accessibile solo attraverso il ricordo. Le maree crescenti non sono solo uno sfondo scenografico, ma una metafora viscerale dell’inevitabilità del cambiamento e della tendenza umana ad aggrapparsi al passato quando il presente diventa insostenibile.
Hugh Jackman porta una gravitas sorprendente al ruolo di Nick Bannister. Non è il suo solito personaggio carismatico e pieno di energia: qui è un uomo logorato, che ha fatto della gestione delle felicità altrui una professione mentre soffoca la propria. La sua voce narrante pervade il film con la cadenza inconfondibile dei detective noir degli anni Quaranta, regalandoci gemme di dialogo come “se ci sono fantasmi da trovare, siamo noi che infestiamo il passato” o “la memoria è la barca che naviga contro corrente, e io sono il rematore”. È un linguaggio straordinariamente evocativo, quasi ridicolo nella sua intensità pulp, eppure funziona proprio per questo.
Rebecca Ferguson entra in scena come l’enigma perfetto: rossetto rosso, presenza magnetica, il tipo di femme fatale che farebbe girare la testa a qualsiasi detective noir che si rispetti. La chimica tra lei e Jackman è palpabile, e il loro rapporto diventa il cuore emotivo del film, anche quando la trama si complica in direzioni più oscure.
Ciò che rende “Reminiscence” particolarmente rilevante oggi è il suo tema centrale: una società dipendente dalla nostalgia. In un’epoca in cui reboot, remake e rivisitazioni dominano l’industria dell’intrattenimento, un film che esplora letteralmente la dipendenza dai ricordi del passato sembra quasi profetico. Joy costruisce un mondo in cui guardare indietro non è solo una preferenza, ma un bisogno esistenziale, un oppio per masse che non riescono ad affrontare un presente catastrofico.
Il film non è perfetto. La trama può risultare convoluta, alcuni twist sono telefonati, e la narrazione a volte sembra troppo innamorata della propria poetica noir. Ma queste imperfezioni fanno parte del suo fascino. “Reminiscence” è il tipo di film che gli studios non fanno più: ambizioso, stilisticamente audace, disposto a rischiare per creare qualcosa di diverso. È un film per adulti che tratta il pubblico come se fosse intelligente, che non ha paura di essere lento quando serve, che privilegia l’atmosfera all’azione sfrenata.
In un panorama cinematografico dominato da franchise e sequel, “Reminiscence” rappresenta qualcosa di sempre più raro: una storia originale, con una visione autoriale forte, che osa mescolare generi in modo inaspettato. Il suo fallimento commerciale è stato influenzato da circostanze eccezionali, ma il valore intrinseco dell’opera rimane intatto.
Forse è arrivato il momento di dare a questo film la seconda possibilità che merita. Perché se c’è una lezione che “Reminiscence” ci insegna, è che il passato può sempre essere riscoperto sotto una nuova luce. E a volte, ciò che abbiamo trascurato la prima volta rivela tesori inaspettati alla seconda visione.