Gli anni ’90 hanno cambiato per sempre il volto degli Oscar. È stato il decennio in cui il cinema indipendente ha smesso di bussare alla porta dell’Academy e ha fatto irruzione nella sala da ballo, costringendo i colossi hollywoodiani a condividere il palco con film che fino a pochi anni prima sarebbero stati relegati ai circuiti d’essai.

La rivoluzione era iniziata nel 1989, quando “sesso bugie e videotape” di Steven Soderbergh aveva conquistato il Sundance Film Festival e una nomination all’Oscar per la sceneggiatura originale, aprendo la strada a una nuova era cinematografica che avrebbe rivaleggiato con la New Hollywood degli anni ’70.

Ma questa trasformazione ha portato con sé anche l’invenzione della “stagione degli Oscar” come la conosciamo oggi. Miramax e il suo co-fondatore Harvey Weinstein hanno trasformato la corsa all’Academy Award in una guerra di trincea, con campagne aggressive che hanno alzato la posta in gioco fino a livelli mai visti prima. Il contrasto tra blockbuster prodotti dai grandi studi e piccole perle del cinema indipendente è diventato il campo di battaglia dove si combatteva l’eterna lotta tra arte e commercio.

I Best Picture di quel periodo — da Balla coi lupi a American Beauty — sono tasselli di una mappa che rivela ambizioni epiche, ritorni di fiamma nostalgici, rivoluzioni linguistiche e sfide narrative capaci di ridefinire l’idea stessa di cinema. Eppure, per comprendere davvero il valore di quei titoli, bisogna guardarli insieme ai film che hanno sfidato i vincitori nelle stesse edizioni, spesso opere che il tempo ha elevato a veri capolavori assoluti.

Nel 1990, Balla coi lupi trionfa con la sua epica western reinventata, ma tra i rivali figurano pietre miliari come Quei bravi ragazzi, oggi considerato uno dei film più influenti della storia, e Ghost, simbolo della cultura pop dell’epoca. L’anno successivo Il silenzio degli innocenti infrange barriere storiche come thriller-horror, mentre accanto a lui competono La bella e la bestia, prima animazione nominata al Miglior Film, e JFK di Oliver Stone, che incendia il dibattito politico con un linguaggio narrativo coraggioso. Nel 1992, il ritorno del western classico con Gli spietati di Clint Eastwood conquista l’Academy, ma a contendersi il premio ci sono I protagonisti di Altman, Howards End e altri drammi di altissimo livello che mostrano come il miglior cinema autoriale europeo e americano coesistesse in una stagione fertilissima. Nel 1993 il dominio di Schindler’s List è assoluto: la sua testimonianza sulla Shoah è talmente potente da superare senza sforzo la concorrenza, ma l’edizione include comunque opere come The Piano e In the Name of the Father, film che affrontano temi politici e identitari con grande intensità.

Il 1994 è forse l’anno più simbolico dell’intero decennio: Forrest Gump trionfa, ma si confronta con due giganti della storia del cinema moderno, Pulp Fiction e Le ali della libertà, un trittico che racchiude in sé tre modi completamente diversi di pensare la narrazione cinematografica. Nel 1995 Braveheart conquista l’Academy con il suo romanticismo epico, mentre tra i candidati spiccano Apollo 13, Ragione e sentimento e Il postino, orgoglio italiano che riesce a imporsi nella corsa internazionale. Il 1996 premia il respiro classico e melodrammatico de Il paziente inglese, ma la competizione include titoli brillanti e innovativi come Fargo e Jerry Maguire, segno di un cinema che vuole scommettere tanto sull’autorialità quanto sul cuore popolare. Il 1997 è l’anno in cui Titanic diventa un fenomeno culturale planetario, eppure il livello dei rivali — L.A. Confidential su tutti — testimonia quanto il noir moderno fosse arrivato a una perfezione quasi assoluta. Nel 1998 il trionfo leggero e meta-romantico di Shakespeare in Love sorprende molti, soprattutto perché tra i contendenti c’erano Salvate il soldato Ryan e La sottile linea rossa, due colossali opere di guerra che hanno cambiato la grammatica visiva del genere.

Infine il 1999 chiude il decennio con American Beauty, film manifesto del disagio suburbano, ma tra i candidati emergono titoli iconici come The Green Mile, The Insider e il sesto senso, opere che hanno scolpito l’immaginario collettivo con linguaggi completamente diversi: realismo etico, denuncia giornalistica, supernatural drama. Rileggere oggi i vincitori e i “sconfitti” degli Oscar anni ’90 significa osservare un decennio che ha espresso tutte le sue anime: il cinema della memoria e quello della rivoluzione, il film d’autore e il blockbuster epocale, la storia riscritta e la storia immaginata, fino a una Hollywood che, arrivando al 2000, era ormai pronta a dissolvere ogni confine. Un’epoca irripetibile, in cui anche chi non vinse contribuì a definire che cosa significasse davvero fare Cinema.

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