Quando uscì “La minaccia fantasma” nel 1999, i fan di Star Wars erano divisi. Le aspettative erano così alte che sembrava impossibile soddisfarle.

Eppure, col senno di poi e dopo aver assistito alla trilogia sequel realizzata da Disney, molti appassionati stanno riconsiderando il giudizio su quei film tanto criticati. Non si tratta di nostalgia cieca o di revisionismo forzato: emergono argomenti concreti che dimostrano come i prequel di George Lucas, nonostante i loro evidenti difetti, abbiano costruito qualcosa di più solido e coerente rispetto a The Force Awakens, The Last Jedi e The Rise of Skywalker.

La questione fondamentale riguarda la visione narrativa. I prequel raccontavano una storia con un inizio, uno sviluppo e una conclusione chiari. Lucas sapeva esattamente dove stava andando: doveva mostrare la caduta della Repubblica, l’ascesa dell’Impero e la trasformazione di Anakin Skywalker in Darth Vader. Ogni scelta, per quanto discutibile nell’esecuzione, serviva questo scopo. I sequel, invece, si sono trasformati in un campo di battaglia tra le visioni contrastanti di J.J. Abrams e Rian Johnson, due registi che hanno giocato a una partita di scacchi in cui ogni mossa serviva a smontare quella dell’avversario.

Il risultato? Supreme Leader Snoke passa da minaccia cosmica a esperimento fallito di Palpatine in un colpo solo. I genitori di Rey sono prima nessuno, poi qualcuno, poi di nuovo nessuno ma in realtà qualcuno. Luke Skywalker, l’eroe che aveva visto il bene in Darth Vader, abbandona tutto dopo un momento di debolezza con Ben Solo. Queste inversioni di rotta non sono twist narrativi sofisticati: sono il sintomo di una mancanza di pianificazione che ha minato la credibilità dell’intera saga.

Un altro punto a favore dei prequel riguarda i duelli con le spade laser. Sì, le coreografie erano talvolta eccessive, con Jedi che roteavano inutilmente e facevano capriole apparentemente senza motivo. Ma ogni scontro aveva peso, consequenze drammatiche e una carica emotiva palpabile. Il duello tra Qui-Gon Jinn, Obi-Wan Kenobi e Darth Maul ne la minaccia fantasma rimane iconico. La battaglia tra Anakin e Obi-Wan su Mustafar ne la vendetta dei Sith è cinema puro, un confronto carico di tradimento e dolore.

I sequel, al contrario, hanno faticato a creare momenti memorabili con le spade laser. Rian Johnson ha orchestrato brillantemente la scena nella sala del trono di Snoke, ma quando Abrams ha messo Rey contro Kylo Ren, l’eccitazione languiva. The Rise of Skywalker ha quasi dimenticato che le spade laser dovrebbero essere centrali in Star Wars, relegandole a strumenti secondari in un film sovraccarico di sottotrame.

I prequel hanno anche avuto il vantaggio di collegarsi organicamente alla trilogia originale. Lucas conosceva la destinazione finale dei suoi personaggi e ha seminato indizi e collegamenti in ogni film. Abbiamo visto come Obi-Wan Kenobi sia diventato il saggio eremita di Tatooine, compreso il dolore della perdita del suo migliore amico. Abbiamo assistito alla trasformazione di Anakin, comprendendone le motivazioni distorte e la tragedia personale. Anche R2-D2 e C-3PO hanno avuto un arco narrativo coerente che arricchiva la loro presenza nella saga originale.

I sequel, invece, hanno fatto scelte discutibili con i personaggi amati. Han Solo e Leia Organa hanno visto il loro matrimonio crollare, incapaci di salvare il figlio. Lando Calrissian è semplicemente scomparso per decenni senza spiegazione. Luke Skywalker, il simbolo della speranza, è diventato un eremita amareggiato che ha rinunciato alla Forza. Queste decisioni narrative non hanno arricchito i personaggi originali: li hanno diminuiti, trasformando i loro trionfi in fallimenti posticipati.

La qualità dei villain rappresenta un’altra differenza sostanziale. Kylo Ren era un antagonista complesso e affascinante, con un arco di redenzione convincente. Ma attorno a lui gravitavano figure dimenticabili. Il supremo leader Snoke è stato eliminato senza che la sua storia venisse davvero esplorata, ridotto poi a una creatura in provetta di Palpatine. Il Generale Hux è passato da minaccia credibile a macchietta comica. I Cavalieri di Ren, tanto promessi, sono apparsi come comparse silenziose.

I prequel, invece, hanno regalato villain che continuano a vivere nell’immaginario collettivo. Darth Maul, con il suo design iconico e la spada laser doppia, è diventato così popolare da essere resuscitato nelle serie animate. Il Generale Grievous, cyborg cacciatore di Jedi, rimane un antagonista visivamente impressionante. Il Conte Dooku di Christopher Lee portava gravitas e classe a ogni scena. E la trasformazione di Palpatine da senatore manipolatore a Imperatore galattico è stata orchestrata con precisione chirurgica.

Il livello di fan service nei prequel era calibrato con maggiore attenzione. Lucas ha introdotto nuovi elementi espandendo l’universo narrativo, piuttosto che copiare pedissequamente le formule del passato. I sequel sono caduti nella trappola opposta: The Force Awakens ha ricalcato la struttura di A New Hope con troppa fedeltà. Un’altra stazione di morte chiamata Starkiller Base, un altro droide con informazioni vitali, un altro eroe proveniente da un pianeta desertico. La sensazione di déjà vu ha soffocato l’innovazione.

Le scene d’azione nei prequel erano ambiziose e variegate. La corsa dei pod su Tatooine, la battaglia di Geonosis con i cloni e i droidi, il conflitto spaziale sopra Coruscant: ogni film cercava di offrire qualcosa di visivamente distintivo. I sequel hanno riproposto battaglie spaziali e scontri terrestri che, per quanto tecnicamente impeccabili, raramente hanno superato gli standard già stabiliti dalla trilogia originale.

Un aspetto spesso sottovalutato è la costruzione del mondo. I prequel hanno espanso enormemente l’universo di Star Wars, introducendo pianeti memorabili come Naboo e Coruscant, esplorando la politica galattica e mostrando l’ordine Jedi al suo apice. Hanno creato un contesto ricco che le serie animate e gli spin-off hanno poi sviluppato ulteriormente. I sequel si sono concentrati su un numero limitato di location, molte delle quali derivative o poco memorabili.

La colonna sonora di John Williams ha accompagnato entrambe le trilogie con maestria, ma i temi musicali dei prequel hanno lasciato un’impronta più profonda. Duel of the Fates è diventato un inno generazionale, mentre Across the Stars ha catturato il romanticismo tragico tra Anakin e Padmé. I sequel hanno avuto composizioni eccellenti, ma pochi temi sono entrati nell’immaginario collettivo con la stessa forza.

Infine, c’è la questione della legacy culturale. I prequel hanno ispirato un’intera generazione di fan che oggi li difende con passione. Hanno generato meme, citazioni entrate nel linguaggio comune e personaggi amati. Il recente apprezzamento per La minaccia fantasma dimostra che questi film hanno resistito alla prova del tempo, rivelando qualità che inizialmente erano state trascurate sotto il peso delle aspettative deluse.

I sequel, nonostante incassi stratosferici e momenti di eccellenza cinematografica, hanno lasciato molti fan delusi e divisi. La mancanza di una visione unitaria ha compromesso la coerenza narrativa, trasformando quella che doveva essere l’apoteosi della saga Skywalker in un’esperienza frammentata e contraddittoria. Non è questione di quale trilogia abbia la migliore tecnica registica o gli effetti speciali più avanzati: è questione di storytelling, di rispetto per i personaggi e di capacità di costruire una narrazione che risuoni emotivamente con il pubblico.

George Lucas ha commesso errori nei prequel, molti dei quali evidenti e discussi per vent’anni. Ma aveva una storia da raccontare e l’ha raccontata, dall’inizio alla fine, con coerenza tematica e narrativa. I sequel Disney, pur brillando in singoli momenti, hanno mancato quella visione d’insieme che trasforma tre film in una vera trilogia. E forse, proprio in questa differenza fondamentale, risiede la ragione per cui sempre più fan stanno riscoprendo il valore nascosto di La minaccia fantasma, L’attacco dei cloni e la Vendetta dei Sith.

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