Quando a ottobre Warner Bros. Discovery ha annunciato di essere in vendita, Hollywood ha reagito con tristezza. Il leggendario produttore Larry Gordon ha paragonato quella sensazione a un lutto familiare.
Nelle chat di gruppo su WhatsApp, gli sceneggiatori usavano parole come “straziante” e “tragico”. Ma ora che l’accordo è ufficiale, con Netflix che ha messo sul tavolo 83 miliardi di dollari per acquisire lo storico studio e il suo servizio di streaming HBO Max, l’emozione che attraversa la capitale del cinema è completamente diversa: Hollywood è furiosa.
L’annuncio della mega-fusione tra Netflix e Warner Bros. ha scatenato una reazione a catena senza precedenti nell’industria dell’intrattenimento. Non si tratta solo di nostalgia per un’era che finisce, ma di una vera e propria insurrezione contro quello che molti vedono come un pericoloso passo verso il monopolio dello streaming e la fine del cinema come lo conosciamo.
Jane Fonda ha dato voce alla rabbia collettiva con una lettera infuocata pubblicata su una testata di settore, definendo la fine di una Warner Bros. indipendente “un’allarmante escalation in una crisi di consolidamento che minaccia l’intera industria dell’intrattenimento, il pubblico che serve e, potenzialmente, il Primo Emendamento stesso”. Parole che suonano come un grido d’allarme non solo per gli addetti ai lavori, ma per l’intera cultura cinematografica americana.
Michael O’Leary, amministratore delegato di Cinema United, un’organizzazione che rappresenta 30.000 schermi cinematografici negli Stati Uniti, ha definito l’acquisizione da parte di Netflix “una minaccia senza precedenti”, promettendo di combatterla con ogni mezzo. “Le sale chiuderanno, le comunità soffriranno, i posti di lavoro andranno persi”, ha dichiarato O’Leary, riferendosi alla politica di Netflix di dare ai film solo distribuzioni “simboliche” nelle sale cinematografiche. Non sono solo parole al vento: venerdì le azioni delle catene cinematografiche quotate in borsa, tra cui AMC Entertainment, IMAX e Cinemark, sono crollate fino all’8 per cento.
La Writers Guild of America, che rappresenta oltre 12.000 sceneggiatori, ha rilasciato una dichiarazione ancora più dura: “Questa fusione deve essere bloccata. La più grande compagnia di streaming al mondo che inghiotte uno dei suoi più grandi concorrenti è esattamente ciò che le leggi antitrust sono state progettate per prevenire”. Anche la divisione cinematografica dei Teamsters ha chiesto a “tutti i livelli” del governo di “respingere questo accordo”.
Ma cosa teme davvero Hollywood? In primo luogo, la prospettiva di ulteriori tagli di posti di lavoro in un settore già decimato dalle ristrutturazioni. Netflix ha costruito la sua fortuna su un modello radicalmente diverso da quello degli studi tradizionali: meno film, più contenuti serializzati, e soprattutto una distribuzione che bypassa quasi completamente le sale cinematografiche. L’idea che questo approccio possa essere applicato al catalogo e alla produzione futura di Warner Bros., uno degli studi più prolifici e rispettati di Hollywood, è vissuta come una minaccia esistenziale.
C’è poi la questione della diversità creativa. Warner Bros. ha una lunga storia di sostegno a film che sfidano i confini narrativi e tematici, progetti che non sempre garantiscono incassi monumentali ma che arricchiscono il panorama cinematografico. Molti temono che sotto l’ombrello di Netflix, guidato da algoritmi e dati di visualizzazione, questi film rischino di scomparire a favore di prodotti più standardizzati e “sicuri” dal punto di vista commerciale.
Netflix, dal canto suo, ha cercato di placare le acque. Venerdì, durante una conference call con gli investitori, Ted Sarandos, co-amministratore delegato di Netflix, ha assicurato che l’azienda rispetterà il modello di business di Warner Bros. e continuerà a distribuire i film nelle sale cinematografiche per proiezioni esclusive. “Non è che abbiamo questa opposizione ai film nelle sale“, ha dichiarato Sarandos, nel tentativo di smorzare le polemiche.
Ma molti a Hollywood rimangono scettici. La storia recente di Netflix racconta una verità diversa: un’azienda che ha sistematicamente privilegiato il rilascio diretto sulla propria piattaforma, concedendo alle sale solo finestre di distribuzione minime, spesso insufficienti per una vera esperienza cinematografica. Questa politica ha già creato tensioni con i circuiti cinematografici e ha costretto molti registi a scegliere tra la visibilità garantita da Netflix e il sogno di vedere il proprio film proiettato su grande schermo.
L’accordo da 83 miliardi di dollari rappresenta uno spartiacque per l’industria dell’intrattenimento. Se approvato dalle autorità antitrust, consoliderà ulteriormente un mercato già dominato da pochi giganti. Warner Bros., con il suo prestigioso catalogo che include franchise come Harry Potter, DC Comics, Il Signore degli Anelli e una filmografia che attraversa un secolo di storia del cinema, passerebbe sotto il controllo di un’azienda nata appena 28 anni fa come servizio di noleggio DVD per corrispondenza.
La resistenza che si sta organizzando a Hollywood non è solo corporativa o nostalgica. È il riflesso di una preoccupazione profonda per il futuro stesso del cinema come forma d’arte e come esperienza collettiva. Le sale cinematografiche non sono solo luoghi commerciali, ma spazi culturali dove le comunità si riuniscono per condividere storie ed emozioni. Il modello di Netflix, centrato sul consumo individuale e domestico, rischia di erodere questa dimensione sociale del cinema.
Nelle prossime settimane e mesi, l’attenzione si sposterà sulle autorità di regolamentazione e sui tribunali, che dovranno decidere se questo matrimonio tra giganti può procedere o se rappresenta effettivamente una violazione delle norme antitrust. Hollywood, intanto, resta in attesa, divisa tra chi vede nell’accordo l’inevitabile evoluzione di un’industria in trasformazione e chi lo considera la capitolazione finale davanti allo strapotere dello streaming. Una cosa è certa: la battaglia per l’anima del cinema è appena iniziata, e la posta in gioco non potrebbe essere più alta.