C’è un’immagine che ha ossessionato Maurizio De Giovanni fino a diventare romanzo: un carillon che suona come lettera d’amore scritta da chi non sa scrivere.

E poi un orologio fermo, non rotto, semplicemente fissato per sempre su una data che non può essere dimenticata. Da queste visioni nasce L’orologiaio di Brest, il nuovo capitolo del maestro del noir italiano presentato in anteprima alla trentacinquesima edizione del Noir in Festival di Milano, nella storica libreria Rizzoli gremita di appassionati.

Il padre del Commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone torna con una storia che si allontana dai suoi personaggi più celebri per esplorare un territorio ancora più viscerale: quello dei padri perduti, delle assenze che diventano presenze ossessive e dell’amore come forza distruttiva. Edito da Feltrinelli, il romanzo intreccia le vite di Vera Coen e Andrea Malchiodi, legati da un filo di sangue che nessuno dei due ha scelto: il padre di lei ha ucciso il padre di lui quando Vera non era ancora nata e Andrea era solo un bambino.

Ma questa non è una semplice storia di vendetta o di giustizia posticipata. È qualcosa di molto più profondo e doloroso. Come spiega lo stesso De Giovanni nell’intervista rilasciata prima della presentazione milanese:

“Desideravo parlare della carne dei padri, perché la carne delle madri è qualcosa di ricorrente nella letteratura. Dei padri e della forza del rapporto fisico con un padre non si racconta molto”.

Una scelta coraggiosa, che contrappone due modalità opposte di vivere l’assenza: Vera nasce nel momento terribile della morte del padre e continua a vivere per questo, mentre Andrea porta con sé una superficialità naturale, tipicamente maschile secondo l’autore, che trasforma quella mancanza in qualcosa di scontato.

Alle loro vicende si intreccia la storia di Maddalena, una splendida ventenne innamorata di un cardinale che ricambia i suoi sentimenti. Qui De Giovanni sfida il lettore con una riflessione sulla portata dell’amore quando coinvolge persone di potere:

“Se il ragioniere sul mio pianerottolo ha una relazione con la stagista, è un problema del ragioniere e della stagista. Se è un presidente ad avere una relazione con la stagista, le conseguenze si ripercuotono su un paese intero”.

L’amore diventa così una deflagrazione che travolge inconsapevoli, una crepa che spacca vite e destini.

Il terzo personaggio che lega queste narrazioni è un barbone non barbone, come viene descritto nel libro, che ripara orologi e costruisce carillon. È lui l’orologiaio di Brest, colui che scrive lettere d’amore attraverso meccanismi perfetti per una moglie lontana, usando l’unico linguaggio che conosce davvero: quello della precisione, del tempo scandito, della memoria che non può essere cancellata. Come l’orologio della stazione di Bologna, fermo al 2 agosto 1980, che non è rotto ma semplicemente impresso in un momento che il paese intero non può dimenticare.

La preapertura letteraria del Noir in Festival ha confermato ancora una volta il legame profondo tra De Giovanni e il pubblico del mistero. Nemmeno una settimana prima dell’evento, era andata in onda l’ultima puntata della terza stagione de Il Commissario Ricciardi con Lino Guanciale, dove è venuto a mancare un personaggio molto caro agli spettatori. Le proteste non si sono fatte attendere, ma lo scrittore ha una filosofia precisa: “Bisogna mettere i personaggi di fronte alle cose che cambiano la vita”. La stessa filosofia che permea L’orologiaio di Brest, dove nulla rimane immutato e ogni sentimento lascia una cicatrice.

De Giovanni costruisce il suo romanzo intorno a un concetto tanto semplice quanto devastante: l’assenza comporta un consolidamento. Quando continui a pensare a qualcuno che non c’è, quel pensiero diventa persistente, ossessivo, più pesante. Le mogli dei due padri hanno amato profondamente i loro uomini anche dopo lunghi anni di assenza, dimostrando che i sentimenti veri non si dissolvono con la distanza, anzi si cristallizzano. Come un carillon che continua a suonare la stessa melodia, imperturbabile.

Il romanzo promette un seguito, un secondo capitolo che approfondirà ulteriormente queste esistenze intrecciate. Perché la storia con la esse maiuscola, ricorda l’autore, è fatta di storie con la esse minuscola, e queste sono fatte d’amore. E l’amore vero, quello che De Giovanni racconta, non è mai una cosa dolce e consolatoria. È un’alterazione, una lesione, quasi una distruzione. Soprattutto quando coinvolge persone molto potenti e molto forti, che rischiano di trascinare nella propria deflagrazione sentimentale tanta gente inconsapevole.

Nella scrittura di De Giovanni, che mantiene il suo stile visivo e cinematografico anche in questo nuovo progetto, ogni immagine diventa simbolo: il carillon come lettera d’amore silenziosa, l’orologio fermo come memoria collettiva, l’assenza del padre come presenza che schiaccia o libera. L’orologiaio di Brest è un romanzo sulla memoria, sui padri, sull’amore come forza che plasma e deforma. È un noir che scava nelle profondità dell’animo umano con la precisione di chi ripara meccanismi delicati, sapendo che un solo ingranaggio fuori posto può fermare tutto.

Il Noir in Festival prosegue fino al primo dicembre con la sua programmazione dedicata a cinema e serie tv, ma l’apertura letteraria con Maurizio De Giovanni ha già segnato il tono di questa trentacinquesima edizione: il mistero più grande non è mai chi ha commesso il crimine, ma perché il cuore umano continua a battere anche quando tutto sembra essersi fermato.

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