Durante il recente festival di Marrakech, l’attrice statunitense Jenna Ortega ha lanciato un monito severo sull’impatto — e i rischi — dell’intelligenza artificiale nel cinema contemporaneo: «It’s very easy to be terrified» — “È molto facile terrorizzarsi”.
Ortega non si limita a esprimere un timore personale, ma sottolinea la «profonda incertezza» che questa tecnologia porta con sé, rivelando quanto la sua penetrazione nel mondo del cinema stia rapidamente superando soglie prima impensate. La sua dichiarazione arriva in un momento in cui l’industria dell’intrattenimento affronta una fase di transizione convulsa: da un lato, l’AI promette opportunità creative e produttive, dall’altro solleva interrogativi etici, pratici e artistici. Ortega osserva che l’AI non è (ancora) capace di riprodurre certe sfumature dell’esperienza umana — l’emozione, l’imperfezione, la vulnerabilità — e proprio per questo la sua comparsa può suscitare timore.
Il timore dell’attrice rispecchia uno spettro più ampio di preoccupazioni nel cinema contemporaneo: la possibilità che l’AI sostituisca attori, sceneggiatori, tecnici, compromettendo la componente umana – empatia, spontaneità, imperfezione — che da sempre distingue un’opera riuscita. Ortega suggerisce che, per quanto la tecnologia avanzi, ci sono “cose che semplicemente non è in grado di fare”: ovvero, rendere autentica la fragilità, imprimere l’imperfezione, restituire l’incertezza emotiva.
Il suo intervento non è isolato: in parallelo, altre voci del mondo del cinema — come l’attrice Emily Blunt — hanno definito «veramente spaventosa» l’idea di un’attrice generata al computer, avvertendo le agenzie di casting di non seguire quella strada.
Alla luce di queste posizioni, emerge un bivio potenzialmente cruciale per Hollywood e per il futuro del cinema: da un lato, la fascinazione per l’innovazione digitale e la sperimentazione; dall’altro, la consapevolezza che l’anima di un film risiede nelle imperfezioni, nelle emozioni vere, nella presenza fisica e psicologica di un attore. Ortega, con semplicità e franchezza, invita l’industria a riflettere: non tutto ciò che si può fare, si dovrebbe fare.