Quarantasei anni fa, Sigourney Weaver incendiava gli schermi cinematografici con un’immagine destinata a ridefinire l’eroina d’azione: Ripley, il gatto Jonesy in una mano, un lanciafiamme nell’altra.

Un’attrice newyorkese alta un metro e ottanta che, secondo i benpensanti di Hollywood, non avrebbe mai sfondato. E infatti non lo fece. Semplicemente, ricostruì tutto da zero. Oggi, a 75 anni (quasi 76), quella stessa donna si trova ancora una volta a scardinare ogni aspettativa. Non interpreta la saggia mentore né la figura materna rassicurante. No, Sigourney Weaver passa il suo tempo a incarnare un’adolescente aliena su una luna extraterrestre. E se pensate che sia un capriccio da star, vi sbagliate di grosso: è la continuazione di una collaborazione che dura da decenni con James Cameron, un sodalizio che ha prodotto uno dei momenti più alti della sua carriera in Aliens e che ora la vede esplorare territori emotivi mai attraversati prima.

Nel prossimo Avatar: Fire and Ash, il terzo capitolo della saga di Pandora, il tono si fa più cupo. La famiglia Sully ha perso il figlio maggiore Neteyam e non ha ancora una vera casa. I Na’vi affrontano la minaccia degli Ash People, creature completamente opposte a loro, in quello che si configura come un conflitto interno tra gli stessi popoli del pianeta.

“C’è molta più oscurità perché sono i nostri stessi simili a combatterci”,

spiega Weaver,

“e tutto ciò che abbiamo è l’altro, più che mai.”

Per Kiri, il personaggio adolescente che l’attrice interpreta attraverso la tecnologia performance capture, Fire and Ash rappresenta un momento di rivelazioni e scoperte. La ragazza, metà umana e metà Na’vi, continua a faticare nel connettersi con gli antenati, quell’elemento spirituale che definisce il popolo di Pandora.

“L’unica cosa su cui i Na’vi possono contare le è preclusa ed è confuso e sconvolgente”, e poiché è per metà umana, la fa sentire come se non facesse parte di loro.”

racconta Weaver.

La scelta di Cameron di riportare Weaver nell’universo di Avatar dopo aver ucciso il suo primo personaggio, la dottoressa Grace Augustine, è stata tanto audace quanto perfettamente sensata per chi conosce il regista.

“Ricordo di aver pranzato con lui e abbiamo parlato di questa ragazza della foresta, ma non avevo idea che avrebbe creato qualcosa che avesse così tanto senso e fosse così interpretabile”,

ammette l’attrice. La chiave è stata l’approccio di Cameron, padre di adolescenti, che vive quotidianamente quella realtà.

Ma c’è un livello più profondo nell’interpretazione di Kiri per Weaver, qualcosa di intimamente personale.

“Ero un’adolescente così miserabile a 14, 15 anni. Ero così insicura e mi ha dato l’opportunità di tornare indietro e rientrare in quello stato mentale, esserci dentro e fidarmi di me stessa in modo diverso con quel personaggio.”

Kiri prova disperazione per quello che sta accadendo al suo mondo, proprio come Weaver la provava da ragazzina, ma ha più sostegno.

“Trovo molto curativo, in un certo senso, interpretarla.”

Giocare a fare l’adolescente aliena, però, non è solo un viaggio emotivo. È anche fisicamente estenuante. Cameron ha preteso che tutto il cast, Weaver compresa, eseguisse ogni acrobazia e ogni scena d’azione.

“Il parkour era intenso, le immersioni in apnea erano davvero molto intense”,

ricorda.

Per The Way of Water, l’attrice e i giovani colleghi hanno lavorato per sei mesi con l’istruttore che addestra i Navy SEAL, imparando a trattenere il respiro per minuti interi nelle enormi vasche subacquee costruite per il film.

E qui emerge la vera Sigourney Weaver, quella che non si è mai accontentata del percorso più facile.

“Come persona che sta per compcompiere 76 anni, non posso permettermi di non fare nulla. Cerco sempre di fare qualcosa per un’ora ogni giorno. Ora ho questa motivazione extra perché non voglio essere una vecchia strega per quando arriveremo ai film quattro e cinque.”

Le immersioni in apnea richiedevano una preparazione mentale tanto quanto fisica.

“Dovevo sempre arrivare sul set, entrare in acqua forse 20 minuti prima di tutti gli altri. Mi ci voleva così tanto per prepararmi, scaldarmi e calmarmi, perché il tuo corpo deve fare una transizione per diventare una creatura acquatica, da essere un mammifero. Una transizione mai facile, un ponte da attraversare ogni singola volta, combattendo contro tutte le sirene del corpo che urlano: “Questo è tutto, stai per morire.”

Ma questa capacità di spingersi oltre i propri limiti, di affrontare la paura e scoprire di cosa si è capaci, è esattamente ciò che ha definito la carriera di Weaver fin dall’inizio.

“Spesso nei film non sono la creatura più coraggiosa del mondo”,

ammette con disarmante onestà.

“Spesso sono al limite eppure, poiché voglio davvero farlo, mi spingo e dico: ‘Wow. Non avrei mai pensato di poterne essere capace.’ Ma non lo rende più facile la volta successiva.”

Nel costruire Kiri, Cameron fornisce i grandi momenti, ma lascia all’attrice il lavoro di arrivarci, senza arrendersi.

“Nessuno vuole deludere Jim”

dice Weaver. E c’è una ragione più profonda dietro questa dedizione: ogni volta che il cast torna per un nuovo film di Avatar, il mondo è andato avanti, è cambiato.

“Sono grata per un filmmaker come Jim che dedica anni a queste storie, ricordandoci chi siamo davvero, dove siamo.”

Il parallelo con la realtà contemporanea è inevitabile.

“Come la nostra democrazia in questo momento, credevamo ci fossero pesi e contrappesi. In realtà non sta accadendo, e ti rendi conto di quanto hai dato per scontato, e ora devi combattere”

riflette l’attrice.

“E questo è dove siamo anche con il pianeta. Non puoi semplicemente sperare che tutto andrà bene. Devi davvero prendere posizione.”

Quando le si fa notare l’urgenza del cinema su larga scala in un momento in cui il mondo è in fiamme, Weaver si illumina.

“È fantastico sentirti dire questo. I film sono, per me, sostentamento, nutrimento. E c’è un sacco di roba che non è così nutriente, fa passare il tempo. Ma ogni tanto…”

La frase rimane sospesa, ma il significato è chiaro: il cinema può ancora cambiare le cose, può ancora ricordarci chi siamo e chi potremmo essere.

Dall’Alien del 1979 all’Avatar di oggi, Sigourney Weaver non ha mai smesso di ridefinire cosa significhi essere un’attrice a Hollywood. Ha trasformato ogni limite in trampolino di lancio, ogni paura in carburante creativo. E mentre si prepara per i prossimi capitoli della saga di Pandora e per un quarto franchise in arrivo, una cosa è cristallina: a 76 anni, con un lanciafiamme metaforico ancora ben stretto in mano, Sigourney Weaver non ha nessuna intenzione di smettere di incendiare i nostri schermi.

Di Martina Bernardo

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical

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