Quando si tratta di finali televisivi, la pressione è schiacciante. E per il cast di Stranger Things, l’ombra di Game of Thrones si è allungata minacciosa durante la preparazione della quinta e ultima stagione.

A rivelarlo è stato Finn Wolfhard, interprete di Mike Wheeler, in una confessione sorprendentemente sincera che ha sollevato il velo su ciò che accade dietro le quinte quando una serie cult si avvicina al suo epilogo.

In un’ampia intervista rilasciata a Time magazine, Wolfhard non ha nascosto le ansie condivise dal cast:

“Penso che tutti fossero piuttosto preoccupati, onestamente. Il modo in cui Game of Thrones è stato fatto a pezzi nell’ultima stagione ci ha messo in una posizione particolare. Stavamo tutti entrando in questa fase pensando: ‘Speriamo che non ci accada la stessa cosa'”.

Un’ammissione rara nel mondo delle produzioni televisive, dove raramente si parla apertamente dei fantasmi che perseguitano le stanze degli sceneggiatori.

La questione del finale di Game of Thrones rimane una ferita aperta nella cultura pop contemporanea. Una serie che aveva dominato la conversazione globale per quasi un decennio si è conclusa nel 2019 dividendo profondamente la sua fanbase, con milioni di spettatori che hanno espresso delusione per le scelte narrative compiute da David Benioff e D.B. Weiss. Quel precedente è diventato un monito per ogni showrunner che si avvicina a un finale di serie: non importa quanto sia stato brillante il viaggio, tutto può crollare nell’ultima curva.

Ma c’è un colpo di scena in questa storia di ansia creativa. Wolfhard ha rivelato che la preoccupazione è svanita nel momento in cui il cast ha potuto leggere gli script finali:

“Poi abbiamo letto le sceneggiature. Sapevamo che era qualcosa di speciale”.

Una dichiarazione che suona come un respiro di sollievo collettivo, ma anche come una promessa implicita ai fan che hanno accompagnato Undici, Mike, Dustin e gli altri attraverso cinque stagioni di avventure nell’Upside Down.

I fratelli Matt e Ross Duffer, creatori e showrunner di Stranger Things, sembrano aver trovato la quadratura del cerchio narrativo che sfuggì alla produzione di HBO. La loro serie, partita nel 2016 come un omaggio nostalgico agli anni Ottanta e alla cultura sci-fi di Steven Spielberg e Stephen King, è cresciuta fino a diventare un fenomeno culturale capace di influenzare la moda, la musica e il linguaggio stesso della Generazione Z.

Il collega di Wolfhard, Gaten Matarazzo, che interpreta il memorabile Dustin Henderson, ha condiviso un sentimento diverso ma altrettanto significativo riguardo al futuro:

“Mi piacerebbe interpretare Dustin in un altro momento della mia vita. Dovrebbe essere tra molto tempo. Ma se tra quindici anni mi chiamassero, mentirei se dicessi che non accetterei all’istante”.

Una dichiarazione che lascia aperta la porta a possibili ritorni futuri, anche se i protagonisti sembrano consapevoli della necessità di chiudere questo capitolo prima di considerare eventuali sequel.

La strategia di rilascio scelta da Netflix per la quinta stagione ha però generato controversie. Con l’ultimo episodio trasmesso nel 2022, i fan hanno aspettato oltre tre anni per vedere come si concluderà la saga di Hawkins. E ora, la decisione del colosso dello streaming di dividere la stagione finale in tre parti ha acceso il dibattito. L’episodio conclusivo arriverà nella notte di Capodanno, una scelta che Bela Bajaria, Chief Content Officer di Netflix, ha giustificato con il desiderio di creare “un’esperienza condivisa di visione insieme”.

Ma non tutti hanno accolto con entusiasmo questa frammentazione. Per molti fan, sembra più una strategia per mantenere alta l’attenzione mediatica che una scelta narrativa organica. Christopher Hamilton di Parrot Analytics ha offerto una lettura cinica ma probabilmente realistica della situazione:

“L’attenzione è attenzione. Anche se le persone si arrabbiano, finiranno per guardarlo. Game of Thrones è stato ovviamente controverso. Ma il finale ha stabilito un record per la serie. E House of the Dragon ha avuto un successo enorme. La gente non si è tirata indietro”.

Questo parallelo con Game of Thrones diventa ancora più interessante quando si considera che, nonostante le critiche feroci al finale, la serie non ha perso il suo potere culturale. Il prequel House of the Dragon ha dimostrato che i fan sono disposti a tornare in quell’universo narrativo, suggerendo che l’amore per un mondo immaginario può sopravvivere anche a una conclusione deludente.

Per Stranger Things, la posta in gioco è altissima. La serie ha definito un’era di Netflix, dimostrando che il servizio di streaming poteva competere con le reti tradizionali nella creazione di fenomeni culturali di massa. Ha lanciato le carriere di giovani attori come Millie Bobby Brown e lo stesso Wolfhard, trasformandoli in icone generazionali. Ha riportato in auge artisti degli anni Ottanta come Kate Bush, la cui “Running Up That Hill” è schizzata in cima alle classifiche dopo essere stata utilizzata in una scena chiave della quarta stagione.

La domanda che aleggia ora è semplice ma carica di peso: i Duffer Brothers riusciranno dove altri hanno fallito? Riusciranno a dare una conclusione soddisfacente a una storia che ha catturato l’immaginazione di milioni di persone in tutto il mondo? Le parole di Wolfhard lasciano intendere che la risposta potrebbe essere positiva. La sua fiducia nelle sceneggiature finali è un segnale incoraggiante per una fanbase che, dopo tre anni di attesa, merita una ricompensa degna della propria fedeltà.

Mentre il conto alla rovescia verso il finale si avvicina, una cosa è certa: Stranger Things ha già dimostrato di saper raccontare storie che toccano corde profonde, mescolando nostalgia, horror, amicizia e crescita personale in un cocktail narrativo unico. Se riuscirà a mantenere questa magia fino all’ultimo fotogramma, potrebbe non solo evitare la trappola di Game of Thrones, ma stabilire un nuovo standard per come le serie televisive dovrebbero concludersi. E forse, proprio nella notte più attesa dell’anno, Stranger Things regalerà al suo pubblico il regalo più prezioso: un finale che non divida, ma unisca.

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