Robert Redford, leggenda del cinema americano, ci ha lasciati il oggi all’età di 89 anni, nella sua casa di montagna fuori Provo, nello Utah, dove è morto nel sonno.

Con lui se ne va non solo un attore e regista, ma un’icona culturale, un attivista, un visionario che ha segnato profondamente il mondo del cinema e della società americana. Nato il 18 agosto 1936 a Santa Monica, California, figlio di una casalinga texana e di un contabile di origini irlandesi, Redford ha vissuto un’infanzia difficile, segnata dalla morte prematura della madre e da un rapporto distaccato con il padre. “Se avessi ricevuto più attenzioni, forse avrei avuto un’infanzia più felice e una carriera scolastica migliore”, disse una volta, ricordando come le sue lentiggini, i capelli rossi e il ciuffo ribelle lo rendessero poco popolare da giovane.

Dopo aver abbandonato gli studi nel 1956, partì per l’Europa con il sogno di diventare pittore, vivendo tra Italia e Francia, ma tornò presto negli Stati Uniti, dove affrontò un periodo di alcolismo. Fu l’incontro con Lola Van Wagenen, che sposò nel 1958, a cambiarlo: lei lo convinse a trasferirsi a New York, dove studiò arte drammatica e iniziò la sua carriera teatrale a Broadway.

Il debutto televisivo arrivò negli anni ’60 con serie come “Alfred Hitchcock Presents”, “Ai confini della realtà” e “Gli intoccabili”, ma fu il cinema a consacrarlo. Il suo primo ruolo importante fu in “Lo strano mondo di Daisy Clover” (1965), che gli valse un Golden Globe come nuova promessa. Da lì in poi, fu un susseguirsi di successi: “A piedi nudi nel parco” con Jane Fonda, “Butch Cassidy” (1969) e “La stangata” (1973), entrambi con Paul Newman, con cui instaurò una profonda amicizia. “Mi scritturavano perché dicevano che ero bello”, raccontò Redford, “ma quando ero giovane nessuno mi diceva che lo ero. Solo quando iniziai a fare l’attore la mia vita cambiò radicalmente”. Eppure, il suo aspetto divenne un ostacolo: “Nessuno mi prendeva sul serio. Io, invece, prendevo sul serio il mestiere d’attore”

Il suo talento lo portò a interpretare capolavori come “Il grande Gatsby” (1974), “I tre giorni del Condor” (1975), “Come eravamo” (1973) con Barbra Streisand, “La mia Africa” (1985) e “Tutti gli uomini del Presidente” (1976), dove incarnò il giornalista Bob Woodward, simbolo del giornalismo investigativo.

Nel 1981 vinse l’Oscar come miglior regista per “Gente comune”, dimostrando di essere non solo un attore carismatico, ma anche un regista sensibile e profondo. Fondò il Sundance Institute e il Sundance Film Festival, diventato uno dei più importanti eventi dedicati al cinema indipendente, dando voce a registi emergenti e storie fuori dai circuiti commerciali. Il suo impegno non si fermò al cinema: fu un attivista ambientale convinto, sostenitore delle energie rinnovabili e della tutela dei parchi naturali americani. Nel 2018 annunciò il ritiro dalla recitazione, lasciando un’eredità artistica e culturale immensa. La sua ultima apparizione cinematografica fu in “Old Man & the Gun”, un film che sembrava cucito su misura per salutare il pubblico con eleganza e malinconia.

Redford ha incarnato l’America del sogno e della disillusione, del romanticismo e della ribellione, del successo e della solitudine. Ha attraversato decenni di storia del cinema con grazia, intelligenza e coerenza, diventando un punto di riferimento per generazioni di attori, registi e spettatori. La sua morte segna la fine di un’epoca, ma il suo spirito continuerà a vivere nei suoi film, nelle sue battaglie e nel festival che porta il suo nome. Come disse una volta: “Il cinema è un modo per raccontare la verità, anche quando la verità fa male”. E Redford, con la sua arte e la sua vita, ha raccontato molte verità, lasciando un segno indelebile nel cuore di chi ama il grande schermo.

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