Ci sono film che si guardano, altri che si ascoltano, e pochissimi che si vivono come una ferita. The Voice of Hind Rajab appartiene a quest’ultima categoria. Alla Mostra di Venezia, il film di Kaouther Ben Hania ha trasformato la Sala Grande in un coro unanime di applausi e lacrime, dimostrando che il cinema, quando rinuncia alla retorica, può diventare memoria viva e testimonianza incancellabile.

29 gennaio 2024, Gaza. Una bambina di sei anni, Hind, è intrappolata in un’auto crivellata dai colpi, sepolta dai corpi dei suoi familiari. Con un telefono in mano, chiama aiuto. Dall’altra parte della linea, un gruppo di volontari della Mezzaluna Rossa cerca disperatamente di guidarla, di consolarla, di mantenerla legata al mondo. Ma il tempo corre, la burocrazia si fa muro, la guerra incombe come un silenzio insormontabile. L’unico filo che resta è la sua voce: fragile, insistente, impossibile da ignorare.

Ben Hania ci chiude dentro quelle stanze, lontani dal fragore della guerra, ma vicinissimi al cuore della tragedia. Non vediamo l’orrore, lo ascoltiamo. Il film non mostra le bombe né le macerie, ma affida tutto alla forza di una voce e alle reazioni di chi la ascolta. È un cinema claustrofobico e necessario, che trasforma l’attesa in un incubo collettivo, un tempo sospeso che diventa metafora dell’impotenza umana.

La scelta di utilizzare i veri file audio di quella telefonata è radicale, etica, sconvolgente: preserva l’autenticità del dolore senza mai tradurlo in spettacolo. Ogni parola di Hind si trasforma in un colpo al petto, ogni respiro diventa più eloquente di mille immagini. Lo spettatore si trova così a condividere lo stesso senso di impotenza dei soccorritori, intrappolato in un limbo dove speranza e disperazione si alternano senza tregua.

La regia, precisa e implacabile, non concede vie di fuga. I volti, le lacrime, i silenzi diventano il linguaggio universale di un dolore che non appartiene a una sola terra, ma all’intera umanità. The Voice of Hind Rajab è un film che non offre catarsi né sollievo: ci obbliga a ricordare, a non dimenticare, a non abbassare lo sguardo.

Non sorprende che a Venezia il film sia stato accolto con una standing ovation interminabile. The Voice of Hind Rajab non è soltanto cinema: è memoria, denuncia, atto politico e gesto poetico insieme. È la voce di una bambina che continua a parlare per tutti coloro che non possono più farlo. Una voce che risuona ancora, anche quando la sala si svuota e lo schermo si spegne.