«Quando andai a Venezia per la prima volta nel 2001 con L’uomo in più, non sapevo nulla del mondo del cinema. Mi ricordo un incontro con i giornalisti, erano dieci. Non avevo capito chi fossero, né perché fossero seduti di fronte a me. La prima volta è stata uno shock totale.»
Così Paolo Sorrentino ricordava il suo debutto alla Mostra del Cinema, con lo sguardo disincantato di chi sa restare straniero nei palazzi del potere. Ventiquattro anni dopo, è di nuovo lì, a Venezia, il 27 agosto 2025, per aprire l’82ª edizione del Festival con il suo film La Grazia, il primo italiano in concorso.
Ma stavolta, al posto dello stupore, ci sono consapevolezza, stile, e una poetica che continua a chiedere perdono e bellezza alle stanze del potere.
TRAMA
Mariano De Santis è il Presidente della Repubblica Italiana. Un uomo solo, come spesso accade nei ruoli alti.
Vedovo, cattolico, padre di Dorotea – giurista come lui – vive l’ultimo tratto del suo mandato con l’incedere lento della storia che smette di correre.
Due richieste di grazia gli arrivano sul tavolo, accompagnate da una legge sull’eutanasia.
E in quelle lettere, in quei faldoni, c’è tutto: la giustizia, il dolore, la politica, la morale. E un eco personale che lo riporta all’amore, alla fede, alla colpa.
È un uomo al confine, tra ciò che è giusto e ciò che è umano. Tra ciò che è istituzione, e ciò che è padre.
E dovrà decidere.
Con quel gesto che cambia la vita degli altri, e ridefinisce la propria.
Toni Servillo interpreta questo Presidente dai silenzi profondi, mentre Anna Ferzetti gli dà voce e fragilità nel ruolo della figlia Dorotea. Attorno a loro, un cast corale: Orlando Cinque, Massimo Venturiello, Milvia Marigliano, Giuseppe Gaiani, Giovanna Guida, Alessia Giuliani, Roberto Zibetti, Vasco Mirandola, Linda Messerklinger, Rufin Doh Zeyenouin.
LE CITTÀ DEL POTERE
Sorrentino non gira: compone.
Come un pittore, mette i suoi personaggi in cornici che vibrano di storia e silenzio.
- A Torino, i saloni del Castello del Valentino, le geometrie del Politecnico, il mistero del Museo Egizio, la sobrietà della Tesoriera.
- A Roma, la solennità verticale della Piazza di Spagna, dove la bellezza si fa monumento, e il tempo sembra sospeso.
- E poi Milano, Mantova, altre città come fantasmi eleganti, comparse di un’Italia che non sa più se crederci davvero, o solo sembrare.
La macchina da presa indugia sulle superfici: marmo, legno, vetro. Tutto parla, tutto tace.
Ogni inquadratura è una domanda.
L’OPERA DI UNA MATURITÀ NUOVA
La Grazia non urla. Non chiede approvazione. Non ha fretta.
È un film che cammina piano, come chi porta un peso.
Un film sull’ultimo potere rimasto davvero umano: quello di perdonare. O di dire no.
Sorrentino, ancora una volta, mette in scena il suo teatro preferito: l’Italia e le sue maschere, i suoi rituali, le sue assenze. Ma lo fa con tenerezza. Con malinconia.
Con quel tratto che riconosci subito, come un profumo nell’aria o una finestra lasciata socchiusa.
Con La Grazia, Paolo Sorrentino firma un’opera che è insieme film di potere e preghiera laica.
Un racconto su chi decide per gli altri, ma vive il dubbio come un atto d’amore.
Un film che parla di leggi, ma sussurra di fragilità.
Che cammina nei palazzi, ma guarda il cielo.
È un atto d’amore verso la democrazia, la lentezza, e il peso invisibile delle scelte.
Un film che non cerca applausi, ma silenzi condivisi.
E mentre Venezia si accende di flash, Sorrentino ci ricorda che a volte, anche il potere più grande… è restare umani.