Quando si parla di Rocky Balboa, ogni dettaglio diventa leggenda. E se c’è una cosa che Filadelfia ha imparato in questi giorni, è che non si scherza con i simboli che appartengono al cuore di una città.

La statua di bronzo che ritrae il pugile più amato del cinema americano stava per cambiare destinazione, ma un’ondata di proteste pubbliche ha fatto cambiare idea persino a Sylvester Stallone in persona. Durante una riunione della Philadelphia Art Commission mercoledì scorso, è arrivata la notizia che nessuno si aspettava. Valerie Gay, direttrice culturale di Creative Philadelphia, ha annunciato: “In risposta al feedback forte e sentito del pubblico, il signor Stallone ha gentilmente deciso che non andremo più avanti con il proposto scambio di statue”. Un dietrofront che sa di vittoria popolare, di quella democrazia culturale che raramente vince nelle decisioni dall’alto.

Ma facciamo un passo indietro. Come siamo arrivati a questo punto? La storia è intricata quanto i vicoli del mercato italiano di South Philly. Esistono tre statue di Rocky Balboa, tutte fuse dallo scultore A. Thomas Schomberg su commissione di Stallone per il film “Rocky III” del 1982. La statua originale, chiamiamola Rocky A, è quella che dal 2006 accoglie circa quattro milioni di turisti ogni anno ai piedi della scalinata del Philadelphia Museum of Art. È lì che generazioni di visitatori hanno ricreato la corsa leggendaria del film, braccia alzate al cielo in segno di trionfo.

Rocky B è una replica che Stallone ha prestato alla città lo scorso anno per il primo RockyFest, posizionata in cima alla scalinata. E poi c’è Rocky C, l’ultima arrivata, installata permanentemente all’aeroporto internazionale di Filadelfia tra i gate A15 e A16. Tre statue, tre destini, un’unica anima cinematografica.

Il piano iniziale prevedeva di restituire la statua originale a Stallone e sostituirla definitivamente con la replica in cima alla scalinata, “a una distanza confortevole dall’ingresso del museo”. Un’operazione dal costo di centocinquantamila dollari che avrebbe dovuto modernizzare l’esperienza turistica. Ma i filadelfioti non l’hanno presa bene. “Mi dispiace, Sly, amico, l’hai donata alla città”, ha dichiarato Lars Jacoby, uno dei tanti cittadini contrariati. “Dovresti lasciarla in città. Sono abbastanza sicuro che Sly non l’abbia pagata di tasca sua l’originale. Dovrebbe semplicemente lasciarla qui”.

La pressione pubblica ha funzionato. Stallone ha fatto retromarcia, dimostrando che anche le star di Hollywood sanno ascoltare quando la posta in gioco è il rispetto per una comunità. Ora il nuovo piano prevede che la statua originale venga temporaneamente spostata all’interno del museo per una mostra speciale intitolata “Rising Up: Rocky and the Making of Monuments”, che si terrà dal 25 aprile al 2 agosto 2026, in occasione del cinquantesimo anniversario del primo film di Rocky.

Quando l’esposizione terminerà, la replica tornerà a Stallone e la statua originale sarà posizionata permanentemente in cima alla scalinata. Un compromesso che però solleva interrogativi sull’accessibilità: per raggiungerla, i visitatori dovranno salire 72 gradini o percorrere una lunga serie di rampe. “Ci sono troppe scale. È fantastico, la vista è incredibile per le foto del parco”, ha commentato Elizabeth Rivera. “Ma è meglio averla più accessibile alle persone, qui dove si trova adesso”.

La Philadelphia Art Commission ha espresso le stesse preoccupazioni e ha chiesto piani aggiornati che includano un servizio navetta o qualche tipo di trasporto per portare le persone dalla base alla cima della scalinata durante il giorno, prima di approvare definitivamente il progetto. La prossima riunione della commissione è fissata per il 14 gennaio, e solo allora sapremo i dettagli finali di questa saga che ha tenuto banco per settimane.

Nel frattempo, la questione ha riaperto un dibattito più ampio su cosa significhi “arte” negli spazi pubblici. “Vediamo questa anche come un’opportunità per approfondire la conversazione in evoluzione su ciò che è considerato ‘arte’ e su cosa meriti un posto nei nostri spazi civici più preziosi”, ha dichiarato Creative Philadelphia nella proposta. “La statua di Rocky è un chiaro esempio di questa evoluzione. Il suo significato artistico non è stato plasmato dalle istituzioni, ma dai milioni di persone che interagiscono con essa anno dopo anno”.

E mentre Filadelfia combatte per mantenere il suo Rocky, vale la pena ricordare che il rapporto tra il museo d’arte e la statua è sempre stato complicato. Per decenni, l’istituzione ha oscillato tra l’amore e il fastidio per questo monumento alla cultura pop che eclissa le collezioni permanenti. Oggi il museo sembra aver abbracciato pienamente l’icona, riconoscendo che Rocky Balboa non è solo un personaggio di finzione, ma un simbolo di resilienza che ha trasceso lo schermo per diventare parte dell’identità cittadina.

La storia della statua di Rocky è, in fondo, molto americana: un pezzo di cultura popolare che diventa patrimonio collettivo, un dibattito su chi possiede davvero i simboli condivisi, e una comunità che si mobilita per difendere ciò che considera proprio. Stallone ha capito il messaggio. E Rocky, ancora una volta, ha vinto il suo match più importante: quello con il cuore di una città che non lo lascerà mai andare via.

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