Nel panorama televisivo contemporaneo, pochi nomi evocano l’eccellenza narrativa quanto quello di Vince Gilligan.

E se l’universo creativo del maestro di Breaking Bad ha un collante invisibile, un elemento che tiene insieme quindici anni di storytelling impeccabile, quel collante ha un nome: Jenn Carroll. Con il settimo episodio di Pluribus, intitolato “Il vuoto”, Carroll compie il salto definitivo da produttrice fidatissima a scrittrice televisiva, firmando quello che si sta rivelando l’episodio più potente e psicologicamente disturbante della serie Apple TV+.

La storia di Carroll nell’universo Gilligan è una scalata metodica attraverso ogni possibile ruolo produttivo. Partita come assistente in post-produzione su Breaking Bad, ha attraversato le trincee della writers room come script coordinator, per poi evolversi in assistente personale di Gilligan su Better Call Saul. Da lì, il percorso l’ha portata a ruoli produttivi sempre più rilevanti, fino a diventare executive della compagnia di produzione di Gilligan, High Bridge. Ma quando ha letto le prime due bozze di quello che sarebbe diventato Pluribus, qualcosa si è acceso.

“Ho chiamato Vince per dirgli: ‘Produrrò questo show, ma voglio anche essere nella writers room. Questa potrebbe essere la mia serie preferita di sempre'”, racconta Carroll a The Hollywood Reporter. Una dichiarazione coraggiosa, considerando il curriculum di Gilligan. Ma l’autrice aveva visto qualcosa di speciale in quella storia di un virus extraterrestre che crea una mente collettiva globale, lasciando solo pochi “Old-Schoolers” immuni a lottare per preservare l’individualità umana.

Non a caso, il nome del paziente zero della serie, la dottoressa Jenn interpretata da Blair Beeken, è un omaggio diretto a Carroll. Nel pilot angosciante di Pluribus, quel nome viene urlato quattordici volte mentre il Dr. Deshpande di Karan Soni tenta disperatamente di salvare la collega dal morso di un topo infetto. Un battesimo simbolico per chi stava per diventare una delle voci narrative chiave dello show.

“Il vuoto” segna anche la riunione di Carroll con il regista Adam Bernstein, lo stesso che aveva diretto “Five-O”, l’episodio rivelazione della prima stagione di Better Call Saul scritto da Gordon Smith, ex collega di Carroll ai tempi di Breaking Bad. Quella puntata, che esplorava il passato oscuro di Mike Ehrmantraut a Philadelphia guadagnando una nomination agli Emmy, era stata girata ad Albuquerque. Per Pluribus, Carroll e Bernstein hanno trasformato le Isole Canarie spagnole nella costa occidentale del Sud America, seguendo il viaggio epico di Manousos “Manny” Oviedo verso il New Mexico.

L’episodio costruisce un confronto metodico tra i due personaggi immuni che vogliono salvare il mondo dalla mente alveare. Come spiega Carroll, le loro lotte sono specularmente opposte: “La battaglia di Carol durante il suo isolamento è mentale e psicologica, mentre quella di Manny è fisica”. Manny attraversa il continente sudamericano rifiutando ostinatamente ogni aiuto dai Joined, affrontando gli elementi naturali con determinazione quasi sovrumana. Carol, invece, dopo la notte a Las Vegas che le ha confermato di essere ancora immune, decide di prendersi una pausa prolungata dalla missione di salvare l’umanità.

Ed è qui che l’episodio rivela la sua vera natura. La sequenza in cui Carol si concede golf tradizionale e non convenzionale, bagni nelle sorgenti termali di Jemez, cene eleganti sui tetti, furti al museo Georgia O’Keeffe e spettacoli pirotecnici alimentati dall’alcol, non è semplicemente un intermezzo ludico. È il ritratto clinico di una psiche che si sta lentamente sgretolando sotto il peso dell’isolamento assoluto.

Carroll è categorica nel difendere la sua protagonista: “Questo episodio non la rende meno eroica, ma abbassa un po’ il fuoco sotto di lei”. La scrittrice respinge l’interpretazione che Carol abbia abbandonato la sua missione. Piuttosto, sta attraversando quello che potremmo definire un collasso esistenziale differito. “Quaranta giorni sono un tempo lunghissimo per essere veramente soli. Non credo possiamo nemmeno immaginare questo livello di isolamento finché non lo viviamo”, riflette Carroll.

Il culmine emotivo arriva nella scena più inquietante della serie fino a questo momento. Durante uno dei suoi show pirotecnici notturni, un fuoco d’artificio cade e si orienta pericolosamente verso Carol. La sua reazione non è quella istintiva di mettersi in salvo. Invece, Carol si riposiziona deliberatamente davanti al tubo simile a un cannone e chiude gli occhi, rassegnata a qualsiasi esito. Il razzo le sfreccia accanto, schiantandosi in una casa vicina. È un momento di passività suicida mascherata da incidente, il tipo di dettaglio psicologico che contraddistingue la scrittura dell’universo Gilligan.

“È tipo: ‘Non mi importa davvero né dell’uno né dell’altro risultato'”, spiega Carroll. “Carol è definitivamente a un punto di rottura lì, e sentiamo un vero cambiamento nel suo comportamento”. È la rappresentazione viscerale di come la solitudine totale possa erodere non solo la speranza, ma anche l’istinto di sopravvivenza stesso. Rhea Seehorn, reduce dalla sua esperienza come Kim Wexler in Better Call Saul, porta in scena quella fragilità con una sottrazione interpretativa devastante.

L’episodio fa anche uso strategico di location familiari ai fan di Breaking Bad e Better Call Saul, ma Carroll chiarisce che non si tratta di semplice fanservice nostalgico. C’è un proposito narrativo preciso nel rivisitare quegli spazi geografici, ora svuotati dalla presenza umana diversificata e popolati dall’uniformità dei Joined. Il contrasto tra il vivace Albuquerque di Walter White e Jesse Pinkman e questa versione post-apocalittica della stessa geografia amplifica il senso di perdita che permea Pluribus.

La carriera di Carroll rappresenta un caso di studio sulla meritocrazia creativa nell’industria televisiva. Insieme a Gordon Smith, con cui formava un “duo dinamico” negli anni di Breaking Bad conducendo ricerche scientifiche e scrivendo scene bonus per le release in Blu-ray, ha dimostrato che la gavetta nell’universo Gilligan non è tempo perso, ma scuola di eccellenza. Smith aveva fatto il suo debutto sceneggiativo proprio con “Five-O”, guadagnandosi una nomination agli Emmy. Carroll ha aspettato il momento giusto, la storia giusta, per fare il suo salto.

E quel momento si è rivelato essere un episodio che esplora il vuoto psicologico dell’ultima donna sulla Terra, o almeno dell’ultima donna libera di pensare con la propria mente. In un’era televisiva ossessionata dall’azione e dal plot twist costante, “Il vuoto” ha il coraggio di rallentare, di lasciare che il peso dell’isolamento si accumuli scena dopo scena, fino a quel momento di resa silenziosa davanti a un fuoco d’artificio vagante.

Con Melissa Bernstein, storica produttrice di Gilligan, impegnata su House of the Dragon per HBO, Carroll ha dovuto assumere responsabilità ancora maggiori su Pluribus, lavorando fianco a fianco con le produttrici Trina Siopy e Diane Mercer. Ma la sua ambizione andava oltre il ruolo produttivo. Voleva contribuire alla narrazione, non solo facilitarla. E il risultato è un’ora di televisione che bilancia la fantascienza apocalittica con l’intimismo psicologico, il marchio distintivo di tutto il lavoro di Gilligan.

“Il vuoto” dimostra che Carroll ha assorbito le lezioni del maestro, ma ha trovato anche una voce propria. L’episodio respira con il ritmo caratteristico dell’universo Gilligan, quella capacità di trasformare momenti apparentemente banali in rivelazioni di carattere, ma porta anche una sensibilità nuova verso la rappresentazione della salute mentale sotto stress estremo. Carol Sturka non è Walter White che abbraccia il suo lato oscuro, né Jesse Pinkman distrutto dal trauma. È qualcosa di diverso: una donna competente e razionale che si sta lentamente disconnettendo dalla volontà di continuare, non per mancanza di coraggio, ma per eccesso di solitudine.

Mentre Pluribus prosegue verso il suo finale di stagione, “Il vuoto” si pone come spartiacque emotivo. Jenn Carroll ha dimostrato di meritare un posto non solo dietro le quinte, ma anche sulla pagina scritta. E il suo episodio di debutto ha tutte le caratteristiche per diventare uno di quelli che i fan ricorderanno, analizzando ogni frame e ogni scelta narrativa. Proprio come accadeva con i migliori episodi di Breaking Bad e Better Call Saul. Il collante dell’universo Gilligan ha trovato la sua voce. E quella voce risuona potente, inquietante e profondamente umana.

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