Il finale della prima stagione di It: Welcome to Derry si apre con un’immagine che John Carpenter avrebbe applaudito: una nebbia innaturale avvolge la cittadina del Maine, trasformando ogni angolo familiare in un palcoscenico dell’orrore.

Un lattaio giace morto intriso di sangue sulla soglia di casa. Dick Hallorann continua a essere tormentato da soldati zombie. E Pennywise, vestito di un rosso cremisi che non è più tessuto ma sangue coagulato, guida una processione di bambini fluttuanti attraverso la coltre nebbiosa, suonando una melodia da pifferaio magico che gela le vene.

L’episodio diretto da Andy Muschietti e scritto da Jason Fuchs parte con il piede giusto, consegnando alcune delle immagini più inquietanti dell’intera stagione. La nebbia stessa diventa un personaggio, oscurando i confini della realtà e creando quella sensazione di disorientamento che ha reso immortale il romanzo originale di Stephen King. Ma è proprio quando lo show punta tutto sullo spettacolo che inizia a perdere quella dimensione umana che lo aveva reso speciale.

La scena d’apertura alla Derry High School è un concentrato di orrore perfettamente orchestrato. Pennywise usa il preside come un ventriloquo macabro, prima di strappargli gli occhi e decapitarlo, calciando poi la testa come un pallone da football. Dietro il sipario rosso che ricorda la Black Lodge di Twin Peaks, appare una ricostruzione teatrale dell’inferno. Mentre i ragazzi urlano e tentano di fuggire, il clown danzante intona un breve numero musicale originale che si conclude con un ruggito death metal, liberando i deadlights che ipnotizzano l’intera palestra di studenti.

È qui che il show conferma definitivamente una delle teorie più discusse dai fan: Marge è la madre di Richie Tozier. La rivelazione arriva quando la ragazza, interpretata con straordinaria intensità da Clara Stack, pronuncia una frase che risuona attraverso le decadi: “Voglio uccidere quel fottuto pagliaccio”. Le stesse identiche parole che suo figlio Richie urlerà nella tana di It nel film del 2017. Un cerchio che si chiude con una eleganza narrativa che commuove, sapendo che Marge chiamerà suo figlio come il ragazzo che l’ha salvata al Black Spot.

Ma mentre i personaggi si coalizzano per l’assalto finale, Welcome to Derry cade nella trappola che ha afflitto anche Stranger Things nelle sue stagioni più recenti. La serie che aveva preso ispirazione dal romanzo di King finisce per imitare proprio lo show che da quel romanzo aveva tratto linfa vitale, creando un paradosso narrativo. I ragazzi uniscono le forze, elaborano un piano d’azione, vanno a caccia del mostro con un artefatto magico che potrebbe tranquillamente essere una Gemma dell’Infinito.

Il pugnale sacro degli Irochesi, custodito da Rose e necessario per sostituire il pilastro fuso che imprigionava It entro i confini di Derry, diventa un MacGuffin luminescente attorno cui ruota una battaglia finale che sembra girata interamente su The Volume. La resa dei conti sul lago ghiacciato, avvolta dalla nebbia e priva di riferimenti ambientali concreti, raddoppia il problema CGI che ha afflitto sporadicamente la serie, perdendo quella tangibilità fisica che aveva reso memorabile l’incendio del Black Spot nell’episodio precedente.

Chris Chalk consegna una delle performance più potenti della stagione quando Dick Hallorann, devastato da giorni di tormento soprannaturale, punta la pistola d’ordinanza alla propria tempia. Nonostante sappiamo che il futuro chef capo dell’Overlook Hotel sia protetto dalla trama, la sua disperazione è così viscerale da farci dubitare. È solo quando Leroy Hanlon, in lacrime, lo supplica di aiutarlo a trovare suo figlio Will che Hallorann trova la forza di resistere. Jovan Adepo e Taylour Paige regalano i momenti più intensi dell’episodio proprio in queste scene intime, dove la paura genitoriale è più terrificante di qualsiasi mostro.

La battaglia finale vede il gruppo affrontare non solo Pennywise, ma anche l’esercito del generale Shaw, che apre il fuoco ferendo Leroy e uccidendo Taniel. Dick usa i suoi poteri telepatici per intrappolare temporaneamente It nei ricordi di Bob Gray, l’artista circense che la creatura aveva consumato e assorbito. È lo stesso talento che un giorno userà per salvare Danny Torrance allo Shining. Ma quando l’illusione si spezza, Shaw scopre troppo tardi che provocare un’entità millenaria mentre riprende coscienza non è la mossa più saggia: It lo divora mentre l’ufficiale continua a impartire ordini come se stesse parlando con un soldato ubriaco.

Ronnie, Marge e Lilly condividono il peso del pugnale rituale, che secondo Rose “combatte con una forza inimmaginabile” chiunque tenti di allontanarlo dal suo luogo d’origine. Lilly mostra nuovamente la sua possessività verso l’artefatto, ma è Ronnie a riportarla alla ragione ricordandole la filosofia del padre defunto: le persone sono scialuppe di salvataggio o ancore, ti tengono a galla o ti trascinano sotto. La ragazza è una scialuppa, e insieme riescono a respingere temporaneamente il clown danzante.

Il problema è che queste scene cariche di umanità vengono diluite da un’esposizione inutilmente convoluta sulle proprietà del pugnale e da sequenze d’azione che privilegiano gli effetti speciali alla caratterizzazione. Quando Welcome to Derry funziona meglio è quando rimane ancorato alle storie personali: Leroy che teme per la vita del figlio, Marge e Ronnie che cercano di convincere Lilly di poter ancora fidarsi di loro, Charlotte il cui cuore si spezza ascoltando che Will è nelle grinfie del mostro.

L’ultima mezz’ora dell’episodio trasforma quello che era stato un dramma horror psicologico in un film d’azione soprannaturale in cui un plotone di fuoco militare spara al carrozzone di Pennywise e tutti combattono per un oggetto luminescente. La nebbia che avvolge la città è una componente visiva straordinaria, ma introduce anche una minaccia su scala Avengers che stride con l’intimità claustrofobica degli episodi precedenti. Non è un caso che il finale ricordi più un cinecomic Marvel che una storia atmosferica di fantasmi.

Nonostante questi difetti strutturali, It: Welcome to Derry si conferma comunque un’aggiunta entusiasmante al franchise. La serie ha saputo tessere personaggi tridimensionali in una narrazione horror, anche quando nell’episodio conclusivo ha sacrificato parte di quella complessità sull’altare dello spettacolo puro. La prima stagione si chiude lasciando le porte spalancate per quella che promette di essere una saga horror epica, con la consapevolezza che i momenti migliori arrivano quando lo show ha il coraggio di rallentare e lasciare che siano le emozioni umane, non gli effetti digitali, a terrorizzarci davvero.

La maledizione di Derry continua, e con essa la danza del clown. Ma la vera domanda è: quando tornerà per il suo prossimo pasto tra ventisette anni, riuscirà la serie a mantenere quell’equilibrio precario tra orrore viscerale e dramma umano? O continuerà a inseguire la grandiosità visiva a scapito dell’anima? Solo il tempo ce lo dirà, mentre la nebbia si dirada lentamente sulla cittadina più maledetta del Maine.

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