Nino Rota nasce a Milano nel 1911 in una famiglia in cui l’arte è già un destino scritto. Bambino prodigio, a soli undici anni compone un’opera lirica, a tredici dirige un’orchestra, e presto il suo talento viene notato dai più grandi maestri dell’epoca. Studia al Conservatorio di Milano, poi a quello di Roma e infine negli Stati Uniti, alla Curtis Institute di Philadelphia, dove approfondisce la musica sinfonica e quella da camera. Il giovane Rota è un musicista completo, colto, disciplinato, ma soprattutto dotato di una naturalezza melodica che lo accompagnerà per tutta la vita, una capacità rara di trasformare in musica ciò che altri tradurrebbero in parole. Tornato in Italia, si dedica all’insegnamento e diventa direttore del Conservatorio di Bari, ma parallelamente si innamora del cinema, un mezzo che gli consente di fondere eleganza classica e fantasia popolare.
La sua carriera cinematografica prende il volo negli anni ’40, ma è negli anni ’50 che Rota incontra l’artista destinato a diventare il compagno creativo di una vita: Federico Fellini. Tra i due nasce un’intesa irripetibile, quasi misteriosa, un rapporto che va oltre la professionalità e diventa un dialogo silenzioso fatto di immaginazione, sogni e nostalgie. Fellini arriva spesso alle sessioni con idee confuse, sensazioni, immagini oniriche; Rota traduce quelle atmosfere in melodie limpide, circolari, dolcemente folli. In La strada crea un tema che sembra un carillon ferito, simbolo di innocenza e crudeltà insieme; in Le notti di Cabiria sceglie un tono più tenero, malinconico; in La dolce vita scrive una musica sospesa tra jazz, ironia e abbandono, ritraendo una Roma luccicante e vuota. Ma è con 8½ che raggiunge l’apice del loro sodalizio: un valzer vorticoso, enigmatico, che ruota come la mente di Guido Anselmi e avvolge lo spettatore in un sogno lucido, dove realtà e fantasia si sfiorano continuamente. Rota diventa il cuore musicale dell’universo felliniano, donando alla sua poetica un’identità sonora che oggi sarebbe impensabile senza quelle melodie leggere come nuvole e profonde come un ricordo d’infanzia.
Parallelamente, Rota lavora con molti dei più grandi registi italiani: Luchino Visconti lo chiama per Rocco e i suoi fratelli e Il Gattopardo, dove la musica diventa un tessuto storico, aristocratico, drammatico, capace di custodire la decadenza di un’epoca. Con Franco Zeffirelli compone per Romeo and Juliet (1968), regalando al mondo una delle sue melodie più celebri, “What Is a Youth”, diventata simbolo dell’amore romantico nel cinema. Collabora anche con altri maestri come De Sica, Castellani, Monicelli, portando in ciascun film una musicalità che si riconosce immediatamente: morbida, malinconica, perfettamente equilibrata. Rota non invade mai la scena, ma la completa con un’eleganza che appartiene solo ai compositori più grandi.
Il capitolo più sorprendente della sua carriera arriva negli anni ’70, quando un giovane regista italoamericano, Francis Ford Coppola, decide di affidargli la colonna sonora de Il Padrino (1972). Nessuno immagina che una melodia di mandolino e archi, così semplice e struggente, diventerà una delle musiche più riconoscibili di tutti i tempi. Il “Love Theme” del film non è solo una colonna sonora: è l’essenza stessa della tragedia dei Corleone, un canto antico che parla di famiglia, potere, destino. Rota disegna un’Italia che esiste più nella memoria che nella realtà, un’infanzia perduta che aleggia sulle vite dei personaggi come una promessa infranta. Per Il Padrino – Parte II vince l’Oscar, consegnando alla storia un lavoro musicale di rara profondità, fatto di marce funebri, richiami popolari, ombre sinfoniche. Coppola lo considera “un poeta della melodia” e non sbaglia: Rota riusciva a tradurre in musica l’epica e la fragile umanità dei suoi personaggi.
Nino Rota scrisse più di 150 colonne sonore, oltre a balletti, opere e musica da camera. Ma la sua grandezza non sta solo nella quantità: sta nella purezza della sua scrittura. Le sue melodie sono semplici ma mai banali, eleganti ma mai fredde, sospese tra gioia infantile e malinconia adulta. Rota possedeva un dono rarissimo: sapeva trasformare un’emozione in un tema, e quel tema diventava immediatamente un ricordo, un luogo, un sentimento che non ci abbandona più. Il cinema italiano e internazionale gli devono un immaginario sonoro che nessun altro avrebbe potuto creare. E ogni volta che le sue note iniziano a suonare, davanti ai nostri occhi tornano Fellini, i Corleone, i balli nobili del Gattopardo, le strade luminose e tristi della Dolce Vita.
Nino Rota non ha solo composto musica per film. Ha composto memoria. Ha composto poesia. Ha composto il suono stesso del nostro immaginare.