La prima cosa che colpisce di Wake Up Dead Man è il peso. Non quello metaforico delle tematiche, ma proprio una sensazione fisica che schiaccia lo spettatore fin dai titoli di testa.

Dove il primo Knives Out ci accoglieva in un’accogliente dimora del New England con un protagonista che vomita quando mente, e dove Glass Onion ci portava sotto il sole abbagliante di un’isola greca con un villain più ridicolo che minaccioso, questo terzo capitolo ci rinchiude in una chiesa gotica e opprimente. Qui Benoit Blanc non indaga per capriccio intellettuale, ma per salvare qualcosa di molto più grande: l’anima di un uomo, di una comunità, forse di un’intera nazione.

Rian Johnson non fa mistero delle sue intenzioni. Wake Up Dead Man rappresenta una rottura consapevole con il registro degli episodi precedenti, un cambio di paradigma che alcuni spettatori potrebbero trovare spiazzante. I sospettati di questo mistero non sono più caricature divertenti della ricchezza sfrenata: sono persone tristi, disperate, talvolta spregevoli. Possono ancora strappare qualche risata con una battuta ben piazzata, ma non abbastanza da dissipare l’aura di disagio che li circonda. La leggerezza che caratterizzava i primi due film è stata sostituita da qualcosa di più pesante, più viscerale.

Questa scelta narrativa affonda le radici in una fonte letteraria precisa: Edgar Allan Poe. Il maestro del macabro non è solo l’autore del primo racconto poliziesco della storia, I delitti della Rue Morgue, direttamente citato nel film, ma è anche il poeta della colpa, dell’ossessione, della disperazione che corrode l’animo umano. Per abbracciare davvero l’estetica di Poe, Johnson doveva mostrare più disciplina del solito nel dosare le battute. Doveva lasciar respirare il silenzio, permettere all’oscurità di infiltrarsi tra le scene, far sì che il pubblico sentisse davvero il peso della crisi spirituale che attanaglia il protagonista, padre Jud.

Ma c’è un’altra ragione, forse ancora più significativa, dietro questo cambio di tono. I primi due film della serie erano essenzialmente satire di classe, commentari taglienti sui privilegi della ricchezza e sull’ipocrisia dei milionari che predicano valori progressisti salvo poi difendere ferocemente il proprio patrimonio quando minacciato. È facile far ridere con personaggi del genere, ed entrambi i film precedenti ne avevano approfittato magistralmente.

Wake Up Dead Man, invece, non parla di classe. Parla di fede. Le poste in gioco del mistero centrale non sono finanziarie ma spirituali, e questo cambia completamente l’atmosfera del racconto. Non si tratta più di smascherare l’ipocrisia dei ricchi, ma di esplorare cosa significa credere in qualcosa di più grande di sé, cosa succede quando quella fede vacilla, e chi ha il diritto di definire cosa sia giusto o sbagliato.

Al centro di questa battaglia ideologica troviamo due figure contrapposte. Da una parte c’è monsignor Jefferson Wicks, interpretato da un Josh Brolin in stato di grazia, leader crudele e dominante che governa la sua comunità attraverso la paura, le bugie e l’odio. Dall’altra parte c’è padre Jud, il personaggio di Josh O’Connor, che crede invece che il ruolo della chiesa dovrebbe essere quello di aiutare le persone, incoraggiare compassione e grazia. Il film è essenzialmente uno scontro tra queste due visioni, con le indicazioni nemmeno troppo sottili che la chiesa in questione è una metafora dell’America stessa.

Wicks sembra la rappresentazione che Johnson fa del movimento MAGA nel secondo mandato di Trump, mentre i vari sospettati incarnano diverse tipologie di sostenitori: dall’apertamente vendicativo Lee Ross di Andrew Scott, al cinico opportunista Cy Draven di Daryl McCormach, fino alla semplicemente disorientata Simone Vivane di Cailee Spaeny. I film precedenti avevano già commentato Trump e i suoi seguaci, ma mai con questa serietà e questa direttezza. È un rischio calcolato che Johnson si prende, sapendo bene che non tutti apprezzeranno un approccio così esplicito alla politica americana contemporanea.

Eppure, anche ignorando completamente il sottotesto politico, le poste in gioco ideologiche continuano a funzionare perfettamente. Padre Jud non sta solo combattendo per l’anima della chiesa: sta cercando di capire quale sia il suo rapporto personale con essa, e per estensione quale sia il suo scopo nella vita. Wake Up Dead Man non deride mai la religione. La crisi di fede di Jud viene presa sul serio dall’inizio alla fine, con tutto il peso esistenziale e il senso di colpa che comporta. Questa serietà dà un peso extra alla necessità di Jud e di Benoit Blanc di arrivare in fondo al mistero.

Questo approccio più maturo era probabilmente necessario perché, diciamocelo, la saga di Knives Out stava correndo il rischio di diventare troppo leggera. Il primo film aveva mantenuto un equilibrio perfetto tra commedia e dramma, ma Glass Onion aveva segnato un chiaro spostamento verso la commedia slapstick. Era un film estremamente sciocco, con sospettati cartooneschi e un mistero che si rivelava essere fondamentalmente una lunga presa in giro di Elon Musk. Divertente al cinema, certo, ma il tipo di sovversione umoristica che la saga dovrebbe permettersi solo una volta.

Fortunatamente, Johnson ha abbracciato nuovamente le sue radici alla Agatha Christie cambiando radicalmente il tono ancora una volta. Invece di tre film di Knives Out sempre più comici, la serie è passata da una dramedy autunnale accogliente, a una farsa comica in vacanza, fino a questo thriller gotico oscuro. Nessuno può più credibilmente affermare che Rian Johnson sia un regista monotematico, così come nessuno può prevedere dove porterà la serie in futuro. E forse è proprio questa imprevedibilità, questa capacità di reinventarsi mantenendo intatta l’identità del detective Benoit Blanc, il vero segreto del successo di questa trilogia che continua a sorprendere.

Lascia un commento