Henry Mancini nasce nel 1924 a Cleveland da una famiglia di immigrati italiani provenienti dall’Abruzzo. Il padre, suonatore di flauto e appassionato di bande da parata, gli trasmette l’amore per la musica già da bambino. Mancini cresce tra strumenti, spartiti e disciplina, studia pianoforte e arrangiamento, entra nella banda scolastica come flautista, sviluppa un orecchio melodico sopraffino che presto diventerà il suo marchio distintivo. Dopo la guerra, dove presta servizio nell’esercito anche come musicista, si iscrive alla prestigiosa Juilliard School e inizia a muovere i primi passi nelle orchestre jazz, un mondo che gli insegnerà la libertà ritmica e la sensualità sonora che costituiranno per sempre la sua firma.
Il cinema arriva quasi per caso, quando viene assunto come arrangiatore agli Universal Studios, lavorando su decine di film e serie televisive degli anni ’50. Ma Mancini non è un orchestratore come gli altri: porta il jazz dentro Hollywood, lo rende elegante, raffinato, glamour. La sua prima grande svolta arriva nel 1958 con la serie Peter Gunn, per cui compone un tema che diventa immediatamente leggendario: un groove di basso e fiati che rivoluziona la musica televisiva e gli vale due Grammy Awards. Da qui nasce il sodalizio che lo consacrerà per sempre: quello con Blake Edwards, uno dei registi più ironici, sofisticati e imprevedibili della sua epoca.
Insieme firmano alcune delle colonne sonore più celebri e iconiche della storia del cinema. Nel 1961 arriva Breakfast at Tiffany’s (Colazione da Tiffany), con “Moon River”, brano scritto insieme al paroliere Johnny Mercer. È una melodia semplice, malinconica e sognante, che Audrey Hepburn canta con voce fragile e pura, trasformandola in un’istantanea eterna. Il film vince l’Oscar per la miglior canzone e catapulta Mancini nell’Olimpo dei compositori. Quell’anno vince anche l’Oscar per la miglior colonna sonora: un doppio trionfo che segna il suo ingresso definitivo nel mito.
Da lì una sequenza di successi irripetibili. Con Edwards realizza la colonna sonora di La Pantera Rosa (1963), probabilmente uno dei temi più riconoscibili di sempre: una linea di sax sinuosa, felina, elegante, accompagnata da un ritmo jazz soffice e ironico. Non descrive solo un personaggio: crea un atteggiamento, un sorriso, una carezza musicale che entra immediatamente nell’immaginario collettivo. L’ispettore Clouseau, con le sue goffaggini, non sarebbe lo stesso senza quella musica. La Pantera Rosa stessa diventa un simbolo grazie alla colonna sonora, al punto che Mancini tornerà più volte sul personaggio, componendo temi per i sequel e per i cartoni animati.
Parallelamente Mancini diventa il re delle commedie sofisticate hollywoodiane: scrive per Victor Victoria (1982), dove unisce glamour, jazz e musical in una partitura scintillante che gli vale un altro Oscar; compone colonne sonore romantiche e malinconiche come Days of Wine and Roses; lavora in televisione per serie come Remington Steele; firma temi memorabili per film d’avventura, drammi sentimentali, storie familiari. Il suo stile è sempre riconoscibile: elegante, melodico, leggero ma mai superficiale, capace di far vibrare un sentimento in pochi secondi.
La grandezza di Mancini sta proprio nel suo modo di coniugare raffinatezza e immediatezza. Le sue melodie sembrano naturali, spontanee, come se fossero sempre esistite. La sua formazione jazz lo rende fluido, moderno, libero dall’impostazione orchestrale classica, ma allo stesso tempo la sua tecnica impeccabile gli permette di costruire partiture perfette per il cinema narrativo. Non c’è un solo film che non venga valorizzato dalla sua musica: persino le scene più leggere acquistano un romanticismo che solo lui sapeva evocare, una sorta di malinconia dolce che è diventata il suo marchio di fabbrica.
Con oltre 90 colonne sonore, 20 Grammy, 4 Oscar e 2 Emmy, Henry Mancini resta uno dei compositori più premiati e amati della storia. Ma il suo impatto non si misura solo nei riconoscimenti: vive nel modo in cui ha plasmato l’estetica sonora di Hollywood, portando il jazz nel mainstream, trasformando la musica da film in un accessorio di stile, elegante come un tubino nero e leggero come un sorriso di Audrey Hepburn. Mancini non ha scritto solo colonne sonore: ha creato un modo di sentire il cinema. E ogni volta che le prime note di “Moon River” o della “Pantera Rosa” iniziano a suonare, quel modo torna a vivere, eterno, sofisticato, inconfondibile.