Esistono film natalizi che profumano di biscotti allo zenzero e gioia incondizionata, e poi esiste “Goodbye June”. Il debutto alla regia di Kate Winslet non ha nulla a che fare con miracoli dell’ultimo minuto o lieti fine confezionati con carta regalo.
Qui si parla di morte, della sua inevitabilità, e di come una famiglia cerchi disperatamente di tenere insieme i pezzi mentre la loro matriarca scivola via. È un film che ha più del cimitero che del cenone, eppure riesce a trovare una strana, delicata forma di speranza nell’oscurità.
Helen Mirren interpreta June, una donna che affronta la fine con uno stoicismo disarmante ma senza false aureole di santità. Il cancro è tornato, il tempo è scaduto, e lei lo sa. Non cerca di nasconderlo, non finge che tutto andrà bene. Vuole semplicemente lasciare la sua famiglia in un posto migliore di quello in cui l’ha trovata, anche se preferirebbe non lasciarla affatto. È un personaggio complesso, né eroina né vittima, semplicemente umano fino all’ultimo respiro.
Attorno al suo letto d’ospedale si raduna un cast stellare che rappresenta il caos emotivo di chi resta. Timothy Spall è Bernie, il marito che preferisce evitare l’inevitabile piuttosto che guardarlo in faccia. Johnny Flynn interpreta Connor, il figlio così emotivamente esposto da sembrare una ferita aperta che cammina. Ma sono le figlie di June a dominare la scena con la loro turbolenza interiore.
Kate Winslet stessa interpreta Julia, gravata dal peso di tenere tutto sotto controllo. Andrea Riseborough è Molly, un fascio di nervi ossessionata dal biologico che vibra letteralmente di agitazione in ogni inquadratura. E poi c’è Toni Collette nei panni di Helen, la sorella sempre un po’ smarrita, la più eterea e forse la meno ancorata alla realtà. Aggiungete coniugi e nipoti vari, e avrete un programma di visite affollato ma un mix febbrile di emozioni così intense da risultare quasi insostenibili.
La sceneggiatura porta la firma di Joe Anders, figlio di Kate Winslet, e per essere un esordio è straordinariamente matura. Anders scava nella strana miscela di tristezza, umorismo nero e talvolta rabbia che la morte può provocare. Ci sono momenti in cui il simbolismo diventa un po’ troppo evidente, come l’infermiere interpretato da Fisayo Akinade che si chiama Angel, davvero? Ma se ci sono difetti, la forza magnetica di questo cast li seppellisce sotto strati di interpretazioni impeccabili.
Tutti hanno portato il loro massimo livello per l’esordio di Winslet dietro la macchina da presa, e lei evidentemente ha avuto una mano sicura nel guidarli. C’è umorismo nei tentativi a volte maldestri della famiglia di aiutarsi a vicenda, ma c’è anche un’emozione considerevole. La determinazione di June a giocare la sua carta vincente finale, “sto morendo”, per lasciare tutti in una situazione migliore è ritratta con delicatezza, mentre il mix di evitamento, accettazione e dolore di tutti gli altri sembra autentico e guadagnato con fatica.
Questo non è il tipo di storia in cui ci si aspetta miracoli dell’ultimo minuto. La speranza qui risiede in una buona morte, ed è il meglio che questa famiglia, o chiunque di noi, possa sperare. Eppure quando arriva, non saremo mai veramente preparati. È questa onestà brutale che rende “Goodbye June” un’esperienza cinematografica potente, un film che non cerca di addolcire la pillola ma che trova comunque un senso di grazia nell’addio.
Il debutto alla regia di Kate Winslet è solido e sicuro, caratterizzato da performance stellari come ci si aspetterebbe da una regista che conosce intimamente il mestiere dell’attore. Potrebbe essere l’antidoto perfetto ad altri film natalizi eccessivamente sdolcinati, un reminder che anche nelle feste più luminose c’è spazio per riconoscere il dolore, la perdita, e il coraggio di chi resta. “Goodbye June” non è un film facile, ma è uno necessario, un tributo alla dignità nell’affrontare l’inevitabile e all’amore che persiste anche quando tutto il resto se ne va.