Mentre la prima stagione di IT: Welcome to Derry si avvia verso il suo epilogo con l’ottavo episodio in arrivo domani 15 dicembre alle 21:00 su Sky/nowTV, la serie prequel ha finalmente svelato uno dei misteri più affascinanti dell’universo creato da Stephen King: chi era davvero Bob Gray, l’uomo che divenne il volto umano preferito di Pennywise?
L’episodio 7 ha introdotto il personaggio in modo definitivo, offrendo ai fan una narrazione che va ben oltre il fugace flashback visto in IT: Capitolo Due. Andy Muschietti, regista dei film e produttore esecutivo della serie insieme alla sorella Barbara e al co-showrunner Jason Fuchs, ha spiegato che l’obiettivo principale dello show era sempre stato quello di esplorare i grandi enigmi lasciati intenzionalmente aperti da Stephen King nel suo romanzo del 1986.
Bob Gray rappresentava il mistero perfetto. Nel libro viene menzionato sporadicamente, ma la sua storia non viene mai davvero raccontata. È solo un nome, un’ombra nel passato di IT. Andy Muschietti ha rivelato che tutto è nato dalle conversazioni con Bill Skarsgård durante le riprese di IT: Capitolo Due nel 2018. L’attore aveva girato una breve scena come Bob Gray e ne era rimasto affascinato. Quando la pandemia ha costretto il mondo a fermarsi, i Muschietti e Skarsgård hanno colto l’opportunità per scavare più a fondo.
Il risultato è un personaggio complesso e sfaccettato. Bob Gray non è lo psicopatico che ci si potrebbe aspettare. È un uomo che la vita ha maltrattato, un ex grande clown di un circo importante caduto in disgrazia dopo la morte della moglie. L’alcol diventa la sua via di fuga, portandolo al licenziamento e poi alla riassunzione in un piccolo circo ambulante. Ma in mezzo alla spirale discendente, c’è una luce: sua figlia Ingrid, che i fan riconosceranno come la futura Ingrid Kersh, interpretata da Madeleine Stowe nella versione adulta.
La costruzione del personaggio è avvenuta attraverso un processo collaborativo. Come ha raccontato Andy Muschietti, inizialmente volevano presentare Bob come qualcuno di fondamentalmente innocuo, ma fu Skarsgård a suggerire di aggiungere strati più oscuri: l’alcolismo, il risentimento, quella grinta che si vede quando il sipario cala e lui beve dalla fiaschetta. Ogni dettaglio ha una ragione d’essere, ogni gesto racconta il peso di un lutto mai elaborato.
Ma Welcome to Derry non è solo la storia di Bob Gray. La serie ha affrontato con coraggio uno degli episodi più brutali della storia di Derry: l’incendio razzista del locale The Black Spot. Nell’episodio penultimo della stagione, i showrunner Jason Fuchs e Brad Caleb Kane hanno messo in scena questo crimine d’odio con una scelta narrativa precisa e significativa. A differenza del romanzo originale di King, che usava ripetutamente insulti razziali espliciti, la serie ha optato per rappresentare il razzismo attraverso le azioni, non attraverso le parole.
Chris Chalk, che interpreta Dick Hallorann, ha raccontato con sincerità che inizialmente si era aspettato di trovare quegli insulti nei copioni. Ma ha presto capito che Welcome to Derry aveva scelto una strada diversa, più sottile ma non meno potente. La discriminazione si manifesta attraverso la violenza sistematica, attraverso i molotov lanciati contro un locale frequentato da persone di colore, attraverso la caccia a un uomo innocente.
I creatori della serie hanno dichiarato di essere consapevoli delle critiche mosse in passato a Stephen King riguardo alcuni stereotipi nella rappresentazione dei personaggi afroamericani. Brad Caleb Kane ha sottolineato come la writers’ room diversificata, che includeva talenti come Cord Jefferson di Watchmen e American Fiction, abbia lavorato per dare a ogni personaggio una complessità tridimensionale. Dick Hallorann, in particolare, non è il classico personaggio sacrificale al servizio dell’eroe bianco, ma un uomo con la propria agency, i propri demoni e i propri desideri.
La scelta di ambientare la serie nel 1962, invece che negli anni ’30 come nel romanzo, permette di esplorare il razzismo in un contesto storico diverso ma ugualmente rilevante. Seguiamo Will Hanlon da bambino, insieme ai suoi genitori Leroy e Charlotte, mentre navigano le acque torbide di una cittadina dove l’orrore soprannaturale si intreccia con quello fin troppo umano della discriminazione.
Andy Muschietti ha confermato che la storia è molto più vasta di quanto potesse contenere una sola stagione. Il piano originale prevede tre stagioni, e le successive approfondiranno la mitologia più ampia dell’universo di Stephen King. Ci saranno riferimenti più espliciti a La Torre Nera, esplorazioni del ruolo di Maturin la tartaruga, e risposte alle domande fondamentali: cosa vuole davvero IT? Perché esiste in questo piano di realtà?
Nel romanzo, King offriva solo brevi squarci di questi piani dimensionali alternativi attraverso momenti come il Rituale del Chüd o la Capanna del Fumo. Welcome to Derry promette di espandere considerevolmente questo aspetto, mantenendo però sempre il focus sulla prospettiva umana che rende le storie di King così visceralmente terrificanti.
L’episodio 8, il finale di stagione, debutterà su HBO Max domenica 14 dicembre alle 18:00 ora del Pacifico, le 21:00 ora della East Coast americana, corrispondenti alle 3:00 del mattino di lunedì 15 dicembre in Italia. Sarà il momento in cui i fili narrativi si intrecceranno, dove il destino di Bob Gray si compirà e dove l’origine di Pennywise raggiungerà il suo punto di non ritorno.
La serie ha dimostrato che un prequel può essere qualcosa di più di un semplice esercizio nostalgico. Può scavare nelle zone d’ombra lasciate dall’opera originale, può dare voce a chi era rimasto in silenzio, può trasformare un enigma in una tragedia umana. Bob Gray non era un mostro quando IT lo incontrò. Era un padre che cercava di ricostruire la propria vita, un artista caduto che sperava in una seconda possibilità. Ed è proprio questa umanità perduta che rende la sua trasformazione ancora più inquietante.
Welcome to Derry ci ricorda che Derry, Maine, non aveva bisogno di un clown alieno per essere un luogo terrificante. Il male era già lì, nei linciaggi, negli incendi dolosi, nel razzismo quotidiano mascherato da educazione e buone maniere. IT si è semplicemente nutrito di ciò che già cresceva rigoglioso nel cuore di quella comunità. E questa, forse, è la lezione più spaventosa di tutte.