Quando un regista come Taika Waititi sparisce dai radar per due anni, il mondo del cinema trattiene il respiro.

Non si tratta di attesa passiva, ma di curiosità vibrante: cosa avrà scelto? Quale storia avrà catturato l’attenzione di uno degli autori più irriverenti e imprevedibili della sua generazione? La risposta è arrivata, ed è esattamente quello che ci si potrebbe aspettare da lui: qualcosa di completamente inaspettato.

Dal 2023, anno dell’uscita di Chi segna vince, Taika Waititi non ha diretto un lungometraggio per il grande schermo. Certo, non è rimasto con le mani in mano: video, cortometraggi e serie televisive hanno tenuto occupato il suo genio creativo. Ma il cinema, quello vero, quello delle sale buie e delle risate collettive, aspettava il suo ritorno. E adesso sappiamo che quel ritorno avrà un nome preciso: Barn 8.

La Searchlight Pictures ha affidato al regista neozelandese l’adattamento dell’acclamato romanzo satirico di Deb Olin Unferth, pubblicato nel 2020. Un libro che ha fatto discutere, entusiasmare e riflettere in egual misura. La sceneggiatura è stata consegnata nelle mani di Jessica Gao, showrunner di She Hulk – Attorney at Law, un nome che promette intelligenza narrativa e capacità di bilanciare toni apparentemente inconciliabili.

Ma di cosa parla esattamente Barn 8? La trama è tanto semplice quanto esplosiva: due contabili, controllori di uova di gallina, decidono di compiere un gesto estremo. Non si accontentano di numeri e registri, vogliono cambiare le cose. Il loro piano? Rubare un milione di galline da un allevamento intensivo. Un milione. Non cento, non mille: un milione di volatili da liberare, coinvolgendo una squadra eterogenea di attivisti in una missione caotica, pericolosa e assolutamente folle.

Il romanzo di Unferth è descritto come un concentrato di commedia e tragedia, un equilibrio precario tra risate nervose e riflessioni profonde sui diritti degli animali, sulle condizioni degli allevamenti industriali e sulla natura stessa dell’attivismo. E qui arriva il dettaglio che fa la differenza: parte della storia è raccontata dal punto di vista delle galline stesse. Sì, avete letto bene. Le protagoniste piumate hanno voce, prospettiva, dignità narrativa.

È impossibile non immaginare cosa Taika Waititi potrà fare con un materiale simile. Il suo cinema ha sempre oscillato tra l’assurdo e il commovente, tra la satira feroce e la tenerezza inaspettata. Da Jojo Rabbit a Thor: Ragnarok, passando per l’indimenticabile caccia ai vampiri di What We Do in the Shadows, Waititi ha dimostrato una capacità unica di trasformare premesse apparentemente folli in esperienze cinematografiche profondamente umane.

Certo, negli ultimi anni si è parlato di lui in relazione a numerosi progetti: un film di Star Wars, un adattamento di Judge Dredd, opere ambiziose che sembravano destinare il regista a universi narrativi già consolidati. Ma quei progetti sono rimasti in stand-by, fantasmi di quello che potrebbe essere. Secondo IMDB, Waititi avrebbe in pre-produzione altri due lungometraggi oltre a Barn 8: L’Incal, tratto dal celebre fumetto di fantascienza di Jodorowsky e Moebius, e James, da un romanzo di Percival Everett che reinterpreta la storia di Jim, il personaggio nero amico di Huckleberry Finn nel classico di Mark Twain.

Progetti affascinanti, certo. Ma nessuno di questi ha la concretezza di Barn 8. Nessuno di questi sembra già pronto a trasformarsi in realtà con la stessa urgenza. E forse è proprio questa la chiave: Waititi ha scelto non il progetto più atteso o più commerciale, ma quello che sentiva più suo. Una storia di ribellione, di assurdità sistemica, di personaggi improbabili che decidono di fare qualcosa di impossibile.

Il messaggio sociale del romanzo è chiaro, ma non didascalico. Non si tratta di un manifesto vegano mascherato da commedia, ma di una riflessione più ampia sulla nostra relazione con gli animali, sul sistema industriale che governa la produzione alimentare, sulla distanza che abbiamo creato tra noi e le creature che alleviamo per nutrirci. E Waititi, con il suo approccio mai predicatorio ma sempre intelligente, sembra il regista perfetto per portare questa storia sullo schermo senza trasformarla in una lezione di morale.

Cosa vedremo esattamente? Difficile dirlo. Ma possiamo immaginare sequenze frenetiche di fuga, personaggi eccentrici che si scontrano con la realtà degli allevamenti intensivi, momenti di pura comicità alternati a silenzi carichi di significato. E chissà, forse anche qualche scena raccontata davvero dal punto di vista delle galline, con quello sguardo straniante e poetico che solo il cinema di Waititi sa regalare.

Il ritorno del regista neozelandese al lungometraggio non è solo una notizia per i suoi fan. È un segnale che il cinema indipendente e autoriale può ancora osare, può ancora scegliere storie che non seguono formule preconfezionate. Barn 8 non sarà un sequel, non sarà un reboot, non sarà l’ennesimo capitolo di una saga già esistente. Sarà qualcosa di nuovo, di strano, di necessario.

E mentre aspettiamo di vedere le prime immagini, di scoprire chi interpreterà quei contabili ribelli e quegli attivisti sognatori, una cosa è certa: quando Taika Waititi decide di raccontare la storia di un milione di galline in fuga, il mondo del cinema improvvisamente diventa un posto più interessante.

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