Ci sono film che non nascono per piacere a tutti. Opere che scivolano via dal box office come sabbia tra le dita, ma che si insinuano nella memoria collettiva con la forza di un incubo ricorrente.
“Annihilation” di Alex Garland è esattamente questo: un’esperienza cinematografica che nel 2018 ha fatto registrare numeri deludenti al botteghino, riuscendo a malapena a coprire il budget di produzione, ma che ha conquistato un posto d’onore nell’olimpo del cinema di genere. Oggi il film è disponibile su Paramount+, pronto a terrorizzare una nuova generazione di spettatori.
La ragione per cui “Annihilation” non poteva essere un successo commerciale è scritta nel suo DNA cinematografico. Troppo cerebrale per il pubblico mainstream, troppo disturbante per essere etichettato come semplice intrattenimento, il film di Garland è un’immersione nella psicologia freudiana travestita da fantascienza. Non ci sono momenti di leggerezza o battute per alleggerire la tensione. Solo un senso di dread costante, interrotto occasionalmente da momenti di bellezza pastorale che rendono il tutto ancora più inquietante.
Al centro della narrazione c’è Lena, interpretata da una magnetica Natalie Portman, professoressa di biologia cellulare che si ritrova coinvolta in una missione apparentemente suicida. Anni prima dell’inizio del film, un meteorite è precipitato su una riserva naturale in Florida, creando una bolla misteriosa di diversi chilometri chiamata “The Shimmer”. Chiunque sia entrato non è mai tornato, tranne Kane, il marito di Lena interpretato da Oscar Isaac, che riappare dopo un anno senza alcun ricordo di cosa sia accaduto all’interno.
La dottoressa Ventress, incarnata da una Jennifer Jason Leigh all’apice della sua intensità drammatica, assembla un team di sole donne per penetrare nel cuore del mistero. Accanto a Portman e Leigh ci sono Tessa Thompson, Gina Rodriguez e Tuva Novotny, un cast femminile quasi interamente al comando in un genere tradizionalmente dominato da protagonisti maschili. Una scelta non solo progressiva, ma narrativamente potente, che aggiunge strati di complessità emotiva a una storia già densa di significati.
L’interno dello Shimmer è un incubo darwiniano reso realtà. Gli organismi biologici crescono e si fondono in modi che sfidano ogni legge naturale, come se il DNA stesso fosse diventato contagioso. Alberi che producono frutti sbagliati, animali con parti del corpo appartenenti ad altre specie, piante che assumono caratteristiche umane. È l’evoluzione accelerata e resa caotica, una roulette genetica che trasforma la natura in un’opera d’arte aliena e terrificante.
Ma il vero protagonista del film, quello che ha garantito a “Annihilation” un posto nella hall of fame delle creature cinematografiche, è l’orso. Non un orso qualunque, ma una bestia che porta sulla testa il teschio di una delle vittime precedenti e ne riproduce le urla disperate. La scena in cui questa creatura appare è diventata leggendaria tra gli appassionati di horror, un momento di puro terrore primordiale che sfrutta la nostra paura ancestrale dei predatori mescolata all’orrore del riconoscimento umano. Il mostro urla con la voce di chi ha divorato, e in quel grido c’è tutto il disagio esistenziale che permea il film.
Alex Garland costruisce la sua visione su fondamenta filosofiche solide. Al cuore di “Annihilation” c’è una riflessione sulla pulsione di morte freudiana, quel desiderio inspiegabile di autodistruzione che ci spinge contro i nostri stessi interessi. I personaggi del film portano tutti cicatrici invisibili, traumi che li rendono attratti dal pericolo piuttosto che respinti da esso. Non stanno cercando risposte, stanno cercando l’annullamento. E lo Shimmer glielo offre su un piatto d’argento, dissolvendo la loro individualità in un brodo primordiale di possibilità biologiche.
Il viaggio verso il faro di St. Mark’s, epicentro dello Shimmer, è un’odissea psicologica quanto fisica. Mentre il team avanza, la realtà stessa si disintegra. Il film mostra immagini inquietanti: intestini che si muovono come serpenti all’interno dei corpi, registrate in video tremolanti che Kane ha lasciato dietro di sé. È body horror di altissimo livello, ma anche qualcosa di più profondo, una meditazione sulla fragilità dell’identità umana di fronte all’infinita creatività della natura.
Il finale del film, senza entrare nel territorio dello spoiler completo, porta il concetto di duplicazione biologica alle sue estreme conseguenze. Lo Shimmer non si limita ad assorbire, ma replica con crescente precisione. Quando un personaggio si trova faccia a faccia con il proprio doppelgänger alieno, non sta combattendo un nemico dotato di volontà propria, ma un ammasso di cellule che possono solo imitare. È uno specchio perfetto, incapace di azione autonoma, che riflette ogni movimento, ogni respiro. In quel confronto c’è tutta l’essenza del film: siamo noi contro la versione più pura e spietata di noi stessi.
La critica ha accolto “Annihilation” con grande favore, riconoscendo in esso quella qualità eterea e cerebrale che definisce la fantascienza quando aspira all’arte. Il film non offre risposte facili né conclusioni rassicuranti. Lascia lo spettatore sospeso in uno stato di meraviglia disturbata, quella sensazione rara che solo i grandi film di genere sanno provocare. È cinema che sfida, che provoca, che rimane impresso nella mente come una macchia di bellezza aliena.
Per chi volesse approfondire ulteriormente questo universo narrativo, esiste la serie di romanzi di Jeff VanderMeer che ha ispirato il film: “Annihilation”, “Authority”, “Acceptance” e “Absolution”. La visione di Garland si discosta in molti punti dal materiale originale, ma entrambe le versioni condividono la stessa fascinazione per l’ignoto e l’inspiegabile, per quegli angoli dell’esistenza dove la scienza incontra il mistero e la logica cede il passo all’orrore cosmico.
Ora che “Annihilation” è disponibile su Paramount+, non ci sono più scuse per non confrontarsi con uno dei film più coraggiosi e visionari degli ultimi anni. È un’opera che richiede attenzione, che premia la riflessione e che non teme di lasciare il pubblico senza certezze. In un panorama cinematografico spesso dominato dalla prevedibilità, questo film è un’anomalia preziosa, un esperimento riuscito di cinema che osa guardare nell’abisso sapendo che l’abisso guarderà a sua volta. E quando lo farà, avrà il volto di un orso che urla con voce umana.