Sylvester Stallone non è semplicemente una star del cinema d’azione. È un’istituzione vivente che ha attraversato sei decenni di Hollywood mantenendo intatta la capacità di ridefinire il genere.

Accanto ad Arnold Schwarzenegger, ha riscritto le regole dell’action movie negli anni Ottanta, spostando l’attenzione su muscoli improbabili, bodycount vertiginosi e set-piece mozzafiato. Ma mentre molti suoi contemporanei sono svaniti nell’oblio o relegati ai DVD nei discount, Stallone ha continuato a evolversi, cadere, rialzarsi e reinventarsi.

La sua carriera è un viaggio attraverso l’evoluzione stessa del cinema d’azione: dai B-movie cult degli anni Settanta ai blockbuster CGI-heavy del nuovo millennio, passando per il ritorno alle origini violente e viscerali degli anni Duemila. Ogni decennio ha portato un gioiello diverso, un film che cattura perfettamente lo spirito del tempo e la capacità camaleonica di Stallone di adattarsi senza mai tradire la sua essenza. Attualmente impegnato nella serie televisiva Tulsa King, Sly dimostra che l’età è solo un numero quando hai il carisma e la determinazione che lo contraddistinguono.

Anni Settanta: Death Race 2000 apre le danze con la violenza cartoon. Sebbene Rocky rappresenti il vero trampolino di lancio per la carriera di Stallone, classificarlo come film d’azione sarebbe tradirne l’anima profondamente drammatica. Il miglior action movie del decennio porta invece la firma del leggendario produttore Roger Corman ed è Death Race 2000, un cult distopico che non si prende troppo sul serio. La premessa è deliziosamente folle: in un futuro prossimo, una gara automobilistica transcontinentale prevede che i piloti guadagnino punti investendo civili o combattendo tra loro.

In questo delirio ultraviolento che oggi appare più come un cartone animato splatter che un film controverso, Stallone interpreta “Machine Gun” Joe, il villain muscolare rivale del misterioso Frankenstein di David Carradine. È uno dei rarissimi film in cui il personaggio di Stallone muore, un’eccezione che si ripeterà solo con F.I.S.T. nel 1978. Gli attori eseguirono gran parte delle scene di guida in prima persona, aggiungendo un tocco di autenticità pericolosa a una produzione altrimenti camp. La performance di Stallone non vincerà premi per la sfumatura psicologica, ma Machine Gun Joe lascia un’impressione indelebile nella memoria collettiva del cinema exploitation.

Anni Ottanta: Rambo – First Blood ridefinisce l’intero genere. Se si dovesse tracciare l’albero genealogico del cinema d’azione moderno, i rami principali porterebbero tutti a First Blood. Questo thriller spoglio e potente trasforma Stallone in John Rambo, un veterano del Vietnam perseguitato da un piccolo sceriffo di provincia che scatena una guerra personale contro un’intera cittadina. Il film è un esempio di economia narrativa: dopo i primi dieci minuti, Stallone smette quasi completamente di parlare, affidandosi esclusivamente al linguaggio del corpo per comunicare il tormento interiore di Rambo.

Le sequenze d’azione sono magistrali nella loro semplicità. L’inseguimento in motocicletta è un manuale di regia action, mentre le imboscate con trappole improvvisate trasformano il film in un quasi-horror survival. Eppure, dietro le esplosioni e i combattimenti corpo a corpo, batte il cuore di un dramma sulla disumanizzazione della guerra e l’abbandono dei reduci. Stallone stesso ha rivelato di essere rimasto così scioccato dal primo montaggio di tre ore che offrì di acquistare il film per distruggerlo. La versione finale, ripulita da flashback ridondanti e dialoghi superflui, è un capolavoro di tensione e azione che scaturisce organicamente dai personaggi, non da artifici di sceneggiatura.

Anni Novanta: Cliffhanger riporta Stallone sulla vetta. All’inizio del decennio, la carriera di Stallone sembrava in caduta libera dopo le disastrose incursioni comiche di Stop! Or My Mom Will Shoot e Oscar. Il 1993 segnò la rinascita grazie a Demolition Man e soprattutto a Cliffhanger, essenzialmente “Die Hard su una montagna” che sfrutta questa formula con intelligenza chirurgica. Per la prima volta dopo anni, Stallone accetta di interpretare un personaggio vulnerabile: Gabe Walker è un ranger di soccorso alpino traumatizzato dal fallimento nel salvare la fidanzata di un amico durante una missione, mostrata in una scena d’apertura straziante.

Quando Gabe e il suo amico vengono costretti ad aiutare un gruppo di ladri a recuperare il bottino disperso tra le montagne, il film decolla verso vette di puro intrattenimento adrenalinico. Cliffhanger rappresenta probabilmente l’ultimo grande film d’azione dell’era classica di Stallone, con set-piece mozzafiato realizzati quasi completamente senza CGI e un villain memorabile nel sociopatico interpretato da John Lithgow. Il film permette anche a Stallone di esplorare una gamma emotiva più ampia, allontanandosi dallo stereotipo della macchina da guerra monosillabica e restituendogli dignità drammatica.

Anni Duemila: Rambo torna più oscuro e brutale che mai. All’alba del nuovo millennio, sembrava che i giorni da protagonista di Stallone fossero definitivamente archiviati. Film come il remake di Get Carter e l’insolito slasher D-Tox affondarono senza lasciare traccia. La salvezza arrivò dal ritorno ai personaggi che lo avevano reso immortale: Rocky Balboa prima e poi Rambo nel 2008, un film che ricorda al pubblico perché Stallone resta un’icona.

Il Rambo di questo quarto capitolo è molto più vicino al killer amareggiato del romanzo originale First Blood che all’eroe patriottico delle sequenze intermedie. Si è esiliato dall’America da decenni, rifuggendo qualsiasi relazione umana, finché non viene chiamato a salvare un gruppo di missionari in Birmania. Stallone dirige il film infondendogli un’intensità viscerale e gore che sorprende anche i fan più accaniti. I proiettili non forano semplicemente i corpi: li squarciano come palle di cannone, portandosi via arti e teste. Gole vengono strappate, corpi dati in pasto ai maiali, in quella che risulta essere la discesa più oscura della filmografia di Stallone.

Come regista, Sly orchestra alcune delle migliori sequenze d’azione della sua carriera dietro la macchina da presa, culminando in una battaglia finale che lascia a bocca aperta. Certo, il montaggio a volte diventa frenetico e la fotografia eccessivamente cupa, ma Rambo rimane senza dubbio il suo progetto action più riuscito del decennio.

Anni Duemiladieci: I Mercenari 2 celebra i giganti del passato. La saga di The Expendables nasce come greatest hits delle star action degli anni Ottanta e Novanta. Nessuno dei quattro film prodotti finora può dirsi un capolavoro, ma The Expendables 2 del 2012 si distingue come il più piacevolmente divertente del lotto. I primi quindici minuti da soli giustificano il biglietto: sparatorie multiple, combattimenti corpo a corpo e azione veicolare si susseguono a ritmo forsennato.

Il sequel regala a Jean-Claude Van Damme un ruolo da villain perfettamente calibrato e, nonostante il film sia stato originariamente girato con un rating PG-13 su richiesta di Chuck Norris (per poi essere “corretto” con sangue CGI vistosamente aggiunto in post-produzione), l’energia è contagiosa. Per i fan di Stallone, Schwarzenegger, Jason Statham, Jet Li e compagnia, è impossibile non divertirsi. Il cast ha una chimica genuina, il ritmo non cala mai e la battaglia finale all’aeroporto rappresenta l’unica occasione in cui Stallone, Bruce Willis e Arnold hanno combattuto fianco a fianco, un momento storico per gli appassionati del genere.

Anni Duemilaventi: The Suicide Squad salva un decennio disastroso. Va detto senza mezzi termini: gli anni Venti sono stati un periodo terribile per Stallone nel cinema d’azione. The Expendables 4 si è rivelato un flop colossale, mentre i suoi film più recenti, Armor e Alarum, hanno ottenuto un umiliante 0% su Rotten Tomatoes. Per fortuna, il suo contributo vocale come Re Squalo nel film di James Gunn The Suicide Squad redime l’intero decennio.

Questo sequel/reboot sfrenato e vietato ai minori è ciò che l’originale avrebbe dovuto essere fin dall’inizio: una squadra di criminali disadattati in missione per fermare una misteriosa creatura aliena. Stallone non appare sullo schermo, ma la sua performance vocale come uno squalo antropomorfo di intelligenza limitata ma cuore buono è esilarante. The Suicide Squad concentra l’attenzione su personaggi e umorismo senza sacrificare l’azione, con sequenze solidamente costruite che sfruttano appieno il rating R. In un decennio altrimenti deludente, questo cameo vocale dimostra che Stallone sa ancora quando scegliere il progetto giusto, anche se significa restare dietro il microfono.

Attraverso sei decenni, Sylvester Stallone ha dimostrato una resistenza e un’adattabilità rarissime a Hollywood. Ha definito ere, sopravvissuto a mode passeggere e continuato a cercare nuove sfide. Che si tratti di un reduce tormentato, di un ranger traumatizzato o di uno squalo parlante, Stallone rimane un numero uno certificato del box office. E chissà cosa riserva ancora il futuro per questa leggenda vivente del cinema d’azione.

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