Nel panorama televisivo dei primi anni 2000, un nome dominava le conversazioni: J.J. Abrams. Dopo Felicity, Alias e Lost, il creatore aveva costruito un marchio sinonimo di visione imperdibile e discussioni ossessive.

Eppure, il suo ultimo progetto televisivo di quell’epoca dorata rischia di scomparire nell’ombra dei suoi predecessori spirituali. Fringe, nato nel 2008 dalla collaborazione tra Abrams, Alex Kurtzman, Roberto Orci e gli showrunner Jeff Pinkner e J.H. Wyman, rappresenta paradossalmente il punto più alto della sua poetica del mystery box, quello in cui l’approccio stilistico si fonde organicamente con la materia narrativa.

Per cinque stagioni, la serie ha raccolto consensi critici entusiastici e un seguito devoto, ma non ha mai goduto della stessa attenzione mainstream di Lost o X-Files. Una lacuna culturale che oggi appare ancora più stridente: gli ingredienti che fanno di Fringe un’opera audace — costruzione di un universo narrativo intricato, pseudoscienza cerebrale, malinconia disarmante — risuonano perfettamente con le serie di genere di alto calibro che attualmente dominano le classifiche di streaming. È tempo di riconoscere questa produzione per quello che è: uno dei lavori fantascientifici più innovativi e coraggiosi del XXI secolo.

La premessa di Fringe è ambiziosa quanto inquietante. La Fringe Division è una task force segreta che indaga fenomeni impossibili da spiegare con mezzi convenzionali. Supervisionata dall’ex agente della Homeland Security Phillip Broyles, interpretato dal compianto Lance Reddick, l’unità prende il nome dalla scienza di frontiera — fringe science — e recluta specialisti capaci di trasformare le plausibilità più estreme in fatti concreti.

I nuovi membri del team diventano rapidamente il cuore pulsante della narrazione: Olivia Dunham, agente speciale dell’FBI interpretata da Anna Torv, il dottor Walter Bishop, scienziato eccentrico dal cuore d’oro portato in scena da John Noble, suo figlio Peter, civile alienato incarnato da Joshua Jackson, e Astrid Farnsworth, assistente di ricerca sovraqualificata interpretata da Jasika Nicole. Passando da un caso raccapricciante all’altro, il gruppo scopre una verità sinistra che collega ogni incidente: una guerra catastrofica tra il loro universo e uno parallelo.

Le barriere che dividono le dimensioni si sono indebolite nel tempo, causando intrecci quantistici, culti apocalittici, abilità cognitive potenziate, timeline divergenti e una vendetta mirata che potrebbe portare a un futuro distopico. La domanda più pressante non riguarda quale dimensione prevarrà, ma se qualcuno sopravviverà abbastanza a lungo per vederlo. Senza una soluzione, l’umanità si distruggerà da sola.

Fringe non ha paura di osare. La serie radica il suo concetto altamente speculativo in una mitologia originale ricca di colpi di scena astuti, personaggi pienamente realizzati e un’intensità emotiva devastante. C’è una consistenza tangibile nel modo in cui sfida le convenzioni narrative, con un tono che scorre fluido tra l’intrattenimento, la riflessione filosofica e la malinconia più profonda. Lo stesso impegno si applica al framework coerente attraverso cui la serie presenta i suoi temi, la maggior parte dei quali sono variazioni sull’effetto farfalla: l’idea che calpestare un insetto possa scatenare un disastro ecologico dall’altra parte del mondo.

Certo, è divertente confrontare i punti di riferimento culturali e i progressi tecnologici tra le varie Terre di Fringe. Ma la vera sostanza è più silenziosa e fondamentale. Le decisioni prese nel dolore, nel trauma e nell’amore sconvolgono ogni tipo di equilibrio fragile, sia cosmico che personale. Una singola differenza nelle circostanze di un personaggio genera effetti a catena visibili nella psicologia del suo doppelgänger, come una pietra lanciata in uno stagno immobile. Le buone intenzioni o l’ingenuità giovanile, nel frattempo, possono disfare il tessuto della realtà.

Ciò che non è immutabile nel multiverso di Fringe sono i modi infiniti in cui le relazioni plasmano le identità. Questo sentimento conferisce alle dinamiche intrecciate dell’ensemble sia una base riconoscibile che una ricompensa emotiva profonda, senza mai scivolare nella banalità evidente. La Fringe Division è popolata da emarginati isolati: la loro piccola ma potente famiglia acquisita è un’unità che può essere fratturata dalle debolezze umane e riparata con altrettanto impegno sincero, autoriflessione e compassione.

Al suo apice creativo, Fringe era così stellare da attirare la leggenda di Star Trek Leonard Nimoy nel ruolo di William Bell, ex partner scientifico di Walter e fondatore di una misteriosa corporazione tecnologica. Il coinvolgimento di Nimoy rappresenta un sigillo di approvazione di prestigio assoluto. Detto questo, la logistica narrativa non raggiungerebbe tali vette senza interpreti — ruoli principali e presenze ricorrenti affidabili — che non abbiano dato tutto se stessi.

Olivia rimane il punto culminante della sottovalutata carriera di Anna Torv e una vetrina avvincente per la sua versatilità. In una serie sulla dualità, il fardello di Olivia — portare il peso autoimposto di due mondi sulle spalle — è il prodotto della sua infanzia traumatica e del suo innato senso di giustizia. Trasforma la sua empatia in superpotere, proteggendo quella vulnerabilità introversa. Differenziare tra alter ego può essere un paradiso per gli attori, e la capacità di Torv per le sfumature raffinate trasforma lo scontro fisico tra i vari sé della sua eroina in una crisi esistenziale continua.

Nel frattempo, John Noble e Joshua Jackson utilizzano la loro chimica padre-figlio come un’arma emotiva. Walter e Peter sono specchi e opposti polari: entrambi geni certificati, con Peter artista della truffa che fallisce verso l’alto e Walter tanto stravagante quanto tormentato. La loro relazione diventa l’ancora emotiva della serie, un legame che si spezza e si ricostruisce attraverso rivelazioni dolorose e atti di perdono impossibile.

Fringe ha trasformato la fantascienza da esercizio intellettuale in esperienza viscerale. Ha dimostrato che i multiversi, i paradossi temporali e la fisica quantistica possono servire da metafore per il dolore, l’identità e le conseguenze delle nostre scelte. In un’epoca in cui le serie di genere più celebrate esplorano temi simili — dall’identità frammentata al costo del progresso scientifico — questo capolavoro dimenticato merita di essere riscoperto come il precursore visionario che ha sempre preteso di essere.

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