Il film “Il grande silenzio”, diretto dal regista italiano Sergio Corbucci nel 1968, è spesso celebrato come uno dei più coraggiosi e intensi esempi di spaghetti western mai realizzati.

Ambientato nella gelida e nevosa cittadina di Snow Hill, nello Utah di fine Ottocento, questo film capovolge i codici tradizionali del genere: niente sole cocente e polvere da sparo sotto cieli azzurri, ma un silenzio opprimente, neve, freddo, disperazione. In questo West “demitizzato” l’eroe — un pistolero noto come “Silenzio”, interpretato da Jean‑Louis Trintignant — non è un uomo di poche parole perché ha scelto di esserlo, ma perché è stato reso muto da bambino in seguito a un trauma: le sue corde vocali sono state recise per impedirgli di testimoniare un massacro. Silenzio non è un eroe mitico in senso classico: non è invincibile, non recita frasi altisonanti, non professa un dogma di giustizia. Agisce per vendetta e per compassione verso un gruppo di uomini — banditi in realtà vittime di un sistema corrotto — che cercano solo di sopravvivere.

La scelta della neve come scenario — tanto rara quanto poetica per un western — diventa un protagonista a sé stante: la bianca coltre trasforma la frontiera in un luogo spettrale, segnato da solitudine, silenzi, attese e tradimenti. Le musiche di Ennio Morricone aggiungono profondità e malinconia, rendendo struggente ogni passo, ogni silenzio, ogni gesto.

Quello che davvero distingue “Il grande silenzio” è il suo approccio realistico e pessimista alla giustizia e al concetto di “bontà” nel West: i cacciatori di taglie, presentati come figure legali e “pulpite” da leggi e autorità, si rivelano predatori senza scrupoli; le istituzioni, la legge, diventano strumenti di oppressione piuttosto che di giustizia. Anche i personaggi “tradizionali” come lo sceriffo o le figure secondarie mostrano fragilità, incertezze morali, e non portano con sé l’ideale eroico classico.

Il finale — tragico, cupo, radicale — spiazza: non c’è redenzione, non c’è consolazione: la speranza viene spenta, con una drastica e dolorosa efficacia che pochi film del genere osavano mostrare fino ad allora. In questo senso “Il grande silenzio” non è solo un western, ma un’esplorazione della crudeltà della legge, dell’ingiustizia, della desolazione umana.

Col passare del tempo, la pellicola è diventata un vero e proprio “classico oscuro”: acclamata da critici e appassionati, spesso indicata — accanto ai grandi capolavori dei maestri del genere — come uno dei western più significativi e disturbanti mai realizzati.

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