C’è un Rocco Papaleo che il pubblico italiano non conosce. Non quello delle commedie sentimentali, non l’attore dall’ironia graffiante che ha conquistato generazioni di spettatori.
Il 4 dicembre, quando Ammazzare stanca arriverà nelle sale con 01Distribution, scopriremo un interprete capace di attraversare il confine che separa la leggerezza dalla tenebra più profonda. Nei panni di Don Peppino Pesce, boss malavitoso della ‘ndrangheta, Papaleo abbandona ogni traccia di comicità per incarnare quella logica spietata dove l’omicidio non è un’eccezione, ma la regola fondamentale di sopravvivenza.
La clip in anteprima esclusiva che vi presentiamo cristallizza questa metamorfosi in una scena carica di tensione. Gabriel Montesi, che interpreta Antonio Zagari, si trova di fronte al boss in un faccia a faccia che sa di condanna. Don Peppino non alza la voce, non minaccia: semplicemente ricorda. Ricorda che nel mondo della criminalità organizzata esiste una conditio sine qua non per fare carriera e per aver salva la pelle. Uccidere. Ancora. Sempre. Ammazzare fino a quando la stanchezza non diventa un lusso che non ci si può permettere.
Daniele Vicari, regista che ha fatto dell’impegno civile la cifra distintiva del suo cinema, firma il suo primo gangster movie partendo da un materiale esplosivo: l’autobiografia dello ‘ndranghetista pentito Antonio Zagari, intitolata proprio “Ammazzare Stanca”. La scelta di questo titolo, mantenuto anche per il film, racchiude un paradosso esistenziale devastante. Come può stancare l’atto che dovrebbe garantire potere e rispetto? Cosa accade quando un assassino inizia a desiderare una vita normale, a non sopportare più la vista del sangue, a ribellarsi contro la logica della violenza che lo ha cresciuto?
La vicenda di Zagari attraversa tre decenni, ma Vicari concentra la sua lente d’autore sugli anni Settanta, creando un parallelo sorprendente tra la rivolta personale del protagonista e le lotte operaie nelle fabbriche del Nord. Ragazzo di origine calabrese ma dall’accento lombardo, Zagari rappresenta una doppia marginalità: straniero al Sud per la sua pronuncia, criminale al Nord per le sue origini. La sua ribellione non è solo contro la ‘ndrangheta, ma contro un padre padrone che ha fatto della violenza l’unico linguaggio possibile.
Gabriel Montesi porta sullo schermo questa contraddizione con una presenza magnetica. Il suo Zagari è un uomo intrappolato tra fedeltà familiare e bisogno disperato di normalità, tra l’addestramento all’omicidio e la scoperta tardiva della scrittura come strumento di catarsi. Accanto a lui, Vinicio Marchioni interpreta Giacomo Zagari, il padre che incarna l’autorità criminale nella sua forma più ancestrale e implacabile.
Ma è proprio Rocco Papaleo a rappresentare la sorpresa più intrigante di questo cast corale che include anche Selene Caramazza, Andrea Fuorto, Thomas Trabacchi e Pier Giorgio Bellocchio. L’attore lucano si misura con un registro drammatico inedito, dimostrando quella versatilità che distingue i grandi interpreti. Don Peppino Pesce non è un boss urlante alla Tony Montana, ma un freddo amministratore della morte, uno che ha trasformato l’assassinio in burocrazia criminale. La sua pericolosità sta proprio in questa normalizzazione dell’orrore.
Prodotto da Mompracem con Rai Cinema, Ammazzare stanca si inserisce in quella tradizione del cinema italiano capace di raccontare la mafia senza glamour, senza retorica, senza sconti. La sceneggiatura di Daniele Vicari e Andrea Cedrola costruisce un affresco dove la violenza non è mai gratuita ma sempre conseguenza di un sistema, di una cultura, di una gabbia sociale che schiaccia ogni tentativo di redenzione.
La passione di Zagari per la scrittura diventa nel film non solo una via di fuga, ma un atto rivoluzionario. Mettere nero su bianco la propria storia significa tradire il codice dell’omertà, significa dare voce a chi dovrebbe rimanere muto, significa trasformare la propria esistenza criminale in testimonianza civile. È questo il coraggio che ha affascinato Vicari: non quello dell’uomo che spara, ma quello dell’uomo che smette di sparare e inizia a raccontare.
Il 4 dicembre, quando le luci delle sale si abbasseranno, scopriremo se il pubblico è pronto ad accogliere questo gangster movie che rifiuta le semplificazioni hollywoodiane per abbracciare la complessità umana. Un film dove ammazzare stanca davvero, dove la violenza logora chi la pratica prima ancora di distruggere chi la subisce, dove la ‘ndrangheta viene raccontata per quello che è: non un’epica criminale, ma una tragedia collettiva senza vincitori.