L’attore immagina un ritorno adulto, malinconico e sorprendentemente emozionante: Kevin McCallister non è più un bambino, ma un padre costretto a fare i conti con i propri errori.

Trentacinque anni dopo l’uscita del film che ha definito un’intera generazione di spettatori, Mamma, ho perso l’aereo torna al centro della conversazione grazie a un’idea inaspettata: Macaulay Culkin ha immaginato un sequel che non si limita a richiamare la nostalgia, ma che la trasforma in racconto, emozione e nuova prospettiva. Un Kevin adulto, pieno di difetti, incastrato tra lavoro e famiglia, che si ritrova improvvisamente dall’altra parte delle trappole. Non più il bambino lasciato solo a Natale, ma un padre che rischia di perdere ciò che conta davvero.

Nella versione immaginata da Culkin, Kevin McCallister non è più il ragazzino scatenato che preparava trappole esplosive per difendere la sua casa. È un uomo segnato, forse vedovo o divorziato, e con un figlio che non sa più come avvicinare. La vita l’ha trasformato in un adulto che corre troppo, che dimentica i dettagli, che prova a fare tutto ma finisce per trascurare chi ama di più.

Quando un imprevisto lo lascia chiuso fuori dalla sua stessa casa, il mondo si ribalta: stavolta è il figlio a trasformare il luogo in cui Kevin è cresciuto in un campo di battaglia affettivo. Trappole, indizi, piccoli sabotaggi: non per ferire, ma per essere visto, capito, ascoltato.

L’iconico spazio domestico, che nel film originale era un tempio del gioco e dell’inventiva, diventa ora una metafora potente del rapporto padre–figlio: una casa piena di ricordi, ferite, risate lontane e porte che aspettano solo di essere aperte.

È un’idea che dà profondità, senso e maturità a un titolo amatissimo. Non una copia dell’originale, non una corsa nostalgica, ma un passaggio di testimone emotivo. Kevin non difende più la casa: prova a riconquistarla. E forse, nel farlo, prova a riconquistare se stesso.

Un sequel così non avrebbe il compito di imitare la magia degli anni ’90, ma di ampliarla. Un racconto nuovo, adulto, imperfetto, che parla di famiglia, rimpianti e possibilità di ricominciare. Se il ritorno di Kevin dovesse davvero prendere vita, potrebbe diventare molto più di un’operazione nostalgia: potrebbe essere un film capace di toccare il cuore di chi è cresciuto con lui — e che oggi, proprio come lui, sa cosa significa perdersi per poi provare a tornare a casa.

Di Martina Bernardo

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical