L’intelligenza artificiale è entrata in ogni angolo della nostra vita digitale, modificando non solo il modo in cui creiamo, consumiamo e condividiamo contenuti, ma anche il modo in cui viviamo il lutto.

Lo dimostra l’appello pubblico di Amy Redford, figlia dell’attore e regista Robert Redford, che nelle ore successive alla morte del padre ha definito “extra challenging” la proliferazione di contenuti falsi generati dall’IA, immagini e video che simulavano funerali mai avvenuti e dichiarazioni mai rilasciate dalla famiglia. Robert Redford è scomparso il 16 settembre 2025, all’età di 89 anni, nella sua casa di Sundance, nello Utah. Mentre la famiglia tentava di elaborare il dolore in silenzio – spiegando che non era ancora stato celebrato alcun funerale pubblico e che un memorial sarà organizzato più avanti – il web veniva inondato da deepfake e tributi artificiali che mostravano l’attore o i suoi cari in situazioni del tutto inventate.

Amy ha parlato di “molteplici versioni AI di funerali, tributi e citazioni… che sono invenzioni”, chiedendo rispetto e trasparenza. Le sue parole non sono un attacco alla tecnologia in sé: “L’intelligenza artificiale non sta andando da nessuna parte”, ha dichiarato, sottolineando però quanto sia fondamentale che l’uso dell’intelligenza artificiale resti sempre “nel territorio della trasparenza”. Più che una critica tecnica, il suo messaggio è un monito umano: “E se fossi tu? Lascia che questo sia il tuo punto di riferimento. Lascia che l’autenticità umana viva..” Il caso solleva un problema etico profondo. Quando l’IA manipola l’immagine di una persona appena scomparsa, o della famiglia che ne piange la perdita, non si tratta soltanto di informazione distorta, ma di un vero e proprio abuso emotivo.

Il lutto è un processo intimo, fragile, vulnerabile, e vedere la memoria del proprio caro trasformata in un contenuto artificiale destinato a diventare virale può diventare un peso insostenibile. La vicenda dei Redford evidenzia inoltre un rischio crescente: la contaminazione della memoria collettiva. L’immagine di Robert Redford appartiene alla storia del cinema, ma le versioni generate dall’IA, se non vengono riconosciute come tali, rischiano di sovrapporsi alla realtà, alterando il ricordo di una figura centrale nella cultura contemporanea. Noi, come società digitale, dobbiamo interrogarci sul modo in cui trattiamo i defunti online: quanto è facile sostituire il vero con il verosimile, e quanto è fragile il confine tra un tributo e una speculazione.

Il messaggio di Amy Redford, dunque, va oltre il dolore privato. È un richiamo collettivo a preservare l’autenticità in un’epoca in cui la tecnologia può replicare tutto, anche ciò che non dovrebbe essere replicato. Ricordare è un atto umano: richiede cura, verità, rispetto. L’intelligenza artificiale può accompagnarci, ma non può sostituire la sensibilità di chi quei ricordi li porta davvero nel cuore. La tecnologia avanza, ma l’etica deve camminarle accanto per evitare che il lutto, la memoria e la dignità delle persone vengano risucchiati nella spirale dell’algoritmo. Solo così potremo continuare a raccontare la vita – e la perdita – con la delicatezza che meritano.

Fonte: Hollywood reporter

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