Ci sono colline che promettono orizzonti impossibili da raggiungere. Ci sono ulivi secolari che raccontano storie di terra contesa, anno dopo anno divorata da un’occupazione che non conosce tregua.
Ed è proprio tra queste colline della Cisgiordania che si muove Basem, protagonista tormentato di The Teacher, opera prima della regista britannico-palestinese Farah Nabulsi presentata al Torino Film Festival. Un film che arriva nelle sale con due anni di ritardo rispetto alla sua realizzazione, ma con un’urgenza narrativa che non ha perso nulla della sua forza.
La storia di Nabulsi è quella di una rivelazione personale trasformata in cinema. Dopo una carriera da broker per una banca d’investimento londinese, la regista aveva già conquistato una nomination all’Oscar con il suo corto The Present, storia minima di un padre e una figlia in cerca di un regalo per un anniversario. Quel padre era interpretato da Saleh Bakri, figlio del celebre attore palestinese Mohammad Bakri, che torna ora come protagonista assoluto di questo lungometraggio. Un viaggio da adulta nella terra dei suoi genitori aveva spinto Nabulsi a raccontare la drammatica realtà quotidiana dei territori occupati, e il risultato è un ritratto intenso e convincente di un uomo bloccato tra passato e futuro.
Basem è un insegnante che vive incatenato ai suoi fallimenti: un matrimonio naufragato, un evento misterioso che ha coinvolto il figlio adolescente, e soprattutto una militanza politica che lo ha portato più volte in prigione. Come può una persona istruita evitare l’impegno politico in una terra dove Israele esercita una pressione quotidiana insopportabile, ignorando le violenze dei coloni fondamentalisti religiosi che incendiano terreni e pretendono la demolizione delle case della popolazione locale? È il dilemma esistenziale che attraversa tutto il film, un vicolo cieco senza via d’uscita apparente.
La regista sceglie di introdurre un punto di vista esterno attraverso Lisa, una giovane volontaria inglese interpretata da Imogen Poots. Bionda, con gli occhi azzurri, Lisa sembra un’aliena in questi luoghi, dotata di un’ingenuità quasi caricaturale ma anche di tanta buona volontà. Il riferimento autobiografico è evidente: Nabulsi stessa era stata una volontaria anni prima. Il rapporto che si sviluppa tra Basem e Lisa diventa un tentativo di guardare oltre la collina, di immaginare un futuro diverso, anche se lei stessa gli ricorda di essere “una donna che può scegliere”, mentre lui resta prigioniero di una terra che non può abbandonare.
Il cuore pulsante di The Teacher emerge quando il film approfondisce la condizione dei palestinesi di Nablus e dintorni, dove la produzione ha effettivamente girato. Basem cerca disperatamente di conciliare il suo passato da resistente con la proiezione verso il futuro che vorrebbe regalare al suo studente prediletto, Adam. Ma la realtà lo travolge quando viene coinvolto nel rapimento di un giovane soldato israeliano di origine americana, utilizzato come merce di scambio per liberare oltre mille prigionieri palestinesi dalle carceri di Tel Aviv.
È in questo momento che il film raggiunge il suo apice narrativo, costruendo un parallelismo potente tra due padri su fronti opposti di una guerra fredda che non conosce fine. Si potrebbe fugacemente instaurare un dialogo a livello umano, riconoscere il dolore dell’altro, ma la distanza resta incolmabile. Basem pensa amaramente che per gli israeliani “suo figlio valga mille volte il mio”, un’asimmetria che non riguarda solo le dinamiche di scambio dei prigionieri ma l’intero conflitto.
The Teacher non è privo di imperfezioni. Alcuni didascalismi narrativi rallentano il ritmo, e l’idea dell’evasione sentimentale “britannica” del protagonista risulta la parte meno convincente dell’opera. Eppure, le dinamiche politiche coinvolgono emozionalmente e restituiscono con autenticità la vita quotidiana sotto occupazione. La performance di Saleh Bakri è il collante che tiene insieme tutte le contraddizioni del personaggio, un uomo che vorrebbe guardare avanti ma resta ancorato a una terra che continua a sanguinare.
Il film arriva oggi che lo scenario sembra ancora più impossibile, con la tragedia di Gaza che ha nuovamente sconvolto la Palestina negli ultimi due anni. Ma The Teacher sposta lo sguardo sulla Cisgiordania, su quegli altri territori occupati dove la pressione israeliana si manifesta in forme diverse ma non meno soffocanti. Un film da vedere, ingenuità comprese, perché racconta una realtà che il cinema occidentale raramente sceglie di affrontare con questa onestà e partecipazione emotiva.
Farah Nabulsi dimostra che si può fare cinema politico senza rinunciare alla dimensione umana, che si può parlare di occupazione attraverso lo sguardo di un insegnante che vorrebbe solo dare opportunità ai suoi studenti. E forse è proprio questa la forza maggiore di The Teacher: ricordarci che dietro ogni conflitto ci sono persone che continuano a vivere, amare, insegnare e sperare, anche quando l’orizzonte sembra irraggiungibile dalle loro colline.