Negli anni ’70 il cinema di fantascienza ha vissuto una trasformazione radicale

Il genere è passato dall’essere un’area d’élite o sperimentale a diventare un ponte verso il mainstream, grazie a film come Alien, Incontri ravvicinati del terzo tipo e Star Wars. Ma proprio in quel decennio si potevano già intravedere le aiuole da cui sarebbe germogliato il nuovo sci-fi commerciale: nei bizzarri, talvolta disillusi racconti post-apocalittici e nelle esplorazioni spaziali che riflettevano ansie reali. Quello che stupisce, a decenni di distanza, è quanto alcuni titoli scelti di quel periodo restino oggi non solo “ricordabili”, ma ancora potenti, rilevanti e capaci di parlare al pubblico contemporaneo.

Da una parte c’erano opere che – pur influenzate dai timori della Guerra Fredda e dal nichilismo emergente – riuscivano a rafforzare la richiesta di visioni alternative del futuro: da THX 1138 (un’opera cupa e distopica) fino a Solaris e The Stalker (che prendevano la fantascienza e la piegavano verso la spiritualità e il tempo interiore). Dall’altra, questi film avevano anche una dimensione veramente “di genere” — cioè immaginifica, a volte sperimentale — che li rendeva meno prevedibili e più liberi rispetto al blockbuster puro.

Prendiamo ad esempio Mattatoio n. 5 (1972): adattamento del romanzo di Kurt Vonnegut, racconta in modo non cronologico la vita di Billy Pilgrim che fluttua nel tempo e finisce persino su un pianeta alieno. Il film mantiene ancora oggi la forza paradossale del romanzo: la commistione tra umorismo nero, tragedia bellica e riflessione filosofica sul tempo e il destino resta lucidissima. È un cinema che non ha paura di essere “diverso”. Un’altra prova della capacità del decennio di giocare con la forma è Fantastic Planet (1973): l’animazione surrealista di René Laloux ci trasporta sul pianeta Ygam, abitato da esseri giganteschi che trattano piccoli umani come animali domestici. La sua carica poetica e visiva lo rende una delle opere più originali dell’epoca — e perfino oggi la sua alienità cromatica e narrativa colpisce.

Poi c’è A Boy and His Dog (Un ragazzo, un cane, due inseparabili amici) (1975): ambientato in un mondo post-apocalittico dove l’umanità è ridotta, la storia segue Vic e il suo cane, che lo assiste telepaticamente. È tanto grottesco quanto acuto nel ritrarre un’umanità al limite, e proprio per questo mantiene un sapore disturbante che non ha perso forza. Ancora più avanti nel decennio arriva Time After Time (L’uomo venuto dall’impossibile) (1979), che mescola macchina del tempo, H.G. Wells, Jack lo Squartatore e una visione degli anni ’70 che non risparmia critiche alla modernità. Infine, l’opera forse più anarchica e “indomabile” è The Visitor (Stridulum) (1979): un incrocio di sacro, demoniaco, alieno che sembra pensato per sconvolgere piuttosto che per rassicurare.

Qual è il segreto della loro sopravvivenza culturale? In primo luogo, queste opere non puntano esclusivamente agli effetti speciali o all’intrattenimento immediato: contengono riflessioni sul tempo, sull’identità, sull’alienazione, sulla fragilità dell’essere umano. Temi universali che non scadono semplicemente perché cambia la tecnologia. In secondo luogo, molti di questi titoli giocano sull’ambiguità, sulla non-risolutezza: non forniscono risposte comodamente “felici”, ma lasciano spazio a domande, a pause, a straniamenti. In un’epoca in cui la fantascienza popolare ama puntare su franchise e formule note, questi film emergono come alternative radicali. E infine, visivamente e formalmente, abbracciano l’idea che la “fantascienza” non è solo laser e astronavi ma può essere un’autoriflessione, un sogno, un incubo, un poema visivo.

Per il pubblico odierno abituato a cinecomics, sequel, reboot e universi espansi, tornare a questi titoli dei ’70 significa scoprire un altro approccio al futuro: più lento, più sperimentale, meno rassicurante, ma anche più libero. Non tutti i film di quel decennio “tengono”: qualcuno appare datato, ingenuo o semplicemente oscuro. Ma quelli che “reggono” sono quelli in cui l’intenzione è forte, la visione chiara e l’idea originale. Del resto, come nota l’articolo originale, «i film della sci-fi degli anni ’70 che ancora valgono oggi» sono quelli in cui la speranza diventa razionalità, l’allarme diventa metafora, l’avventura diventa riflessione. In conclusione, rileggere la fantascienza degli anni ’70 non è solo un atto nostalgico: è un invito a guardare come, in un’epoca di tensioni e cambiamenti, si siano messe le basi di ciò che poi sarebbe stato. Questi film ci mostrano che la fantascienza può essere fragile e profonda, visionaria e intimista: e se oggi ci emozionano ancora, è perché hanno colto qualcosa di vero, qualcosa che il futuro non ha cancellato.

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