Denis Villeneuve non ha mai avuto paura di deviare dal canone. Lo ha dimostrato con Dune e Dune: Parte Due, due opere che hanno saputo catturare lo spirito dei romanzi di Frank Herbert pur prendendosi libertà narrative significative.

Ora, con l’annuncio del ritorno di Rebecca Ferguson nei panni di Lady Jessica in Dune: Part Three, il regista canadese sta preparando quella che potrebbe essere la modifica più audace e potenzialmente più potente dell’intera trilogia.

Il dettaglio che rende questa scelta così intrigante? Lady Jessica non compare affatto in Dune Messiah, il secondo romanzo della serie che Villeneuve si appresta ad adattare. Nel libro, dopo l’ascesa al potere di Paul Atreides su Arrakis, c’è un significativo salto temporale e Jessica fa ritorno a Caladan, il pianeta natale degli Atreides, allontanandosi deliberatamente dalla terrificante deificazione del figlio. La sua assenza è voluta, carica di significato: una madre che non può assistere alla trasformazione del proprio bambino in un dio vivente. Eppure Villeneuve ha scelto di riportarla. La domanda che sorge spontanea è: quando e soprattutto perché?

Esaminando i fili narrativi più vicini a Jessica nel canone di Herbert, emergono alcuni indizi. Sebbene assente da Dune Messiah, Lady Jessica gioca un ruolo prominente in Children of Dune, il terzo romanzo, dove torna su Arrakis per prendersi cura dei nipoti dopo la morte di Paul. Nella mitologia espansa scritta da Brian Herbert, viene anche spiegato che Jessica e Gurney Halleck tornano insieme a Caladan, dove iniziano una relazione romantica. Josh Brolin è confermato per apparire in Dune: Part Three, ma una semplice occhiata alla loro vita domestica sembrerebbe avere poco impatto narrativo per un finale di trilogia.

La teoria più convincente è che Villeneuve stia preparando il terreno per un finale che racchiuda l’essenza emotiva della sua visione di Dune, anche senza l’intenzione di adattare Children of Dune. Portare Jessica nella storia troppo presto stravolgerebbe la delicata narrazione politica tessuta con cura in Dune Messiah, che si concentra su un cast specifico di personaggi: Paul, Alia, Irulan, Chani. Ma farla apparire alla fine, dopo la morte di Paul, cambierebbe tutto.

Villeneuve ha operato modifiche sostanziali al personaggio di Jessica nei suoi primi due film. L’ha trasformata in una devota sostenitrice di Paul Atreides, una figura che lo spinge attivamente a sfruttare il suo status profetico per sconfiggere gli Harkonnen. Questa Jessica cinematografica non è la donna che fugge dalla responsabilità: è colei che l’ha creata. Con questa premessa in mente, diventa difficile immaginare che il suo motivo per l’assenza in Dune Messiah sia lo stesso del romanzo.

È più probabile che la Jessica di Villeneuve si sia allontanata per il bene di Paul stesso, forse per preservare una parvenza di umanità in un impero sempre più oppressivo. Il suo ritorno, quindi, non sarebbe motivato dai nipoti o da questioni politiche, ma dal lutto più devastante che una madre possa affrontare: la morte del figlio che lei stessa ha trasformato in un messia.

Rebecca Ferguson è stata una forza della natura nei film di Dune. La sua interpretazione di una madre feroce, disposta a tutto pur di proteggere la famiglia, anche a trasformare il proprio figlio in un’arma vivente, ha aggiunto strati di complessità morale all’intera saga. La sua storia rispecchia quella di Paul: entrambi mossi da forza e desiderio di protezione, entrambi resi terrificanti dalle proprie scelte.

Frank Herbert scrisse Dune Messiah come risposta diretta al primo romanzo, un modo per minare i successi di Paul Atreides e mettere in luce i pericoli della profezia e della leadership carismatica. L’arrivo di Jessica nel finale di Dune: Part Three potrebbe incarnare perfettamente questa critica, trasformandola da concetto astratto a devastante realtà emotiva.

Immaginate la scena: Jessica arriva su Arrakis dopo essere stata assente per l’intero film, ignara degli eventi che hanno portato alla caduta di Paul. Il suo volto quando scopre la verità. La rabbia, il dolore, il rimpianto per aver messo in moto una macchina impossibile da fermare. Sarebbe un momento di cinema puro, un finale che trascende la fantascienza per toccare corde universali sul potere, la responsabilità genitoriale e le conseguenze irreversibili delle nostre scelte.

Questo approccio offrirebbe a Villeneuve la possibilità di concludere la sua “trilogia di Paul Atreides” su una nota di straordinaria potenza emotiva, ancora più evocativa del terrificante finale di Dune: Parte Due. Non si tratterebbe solo di guerra e politica galattica, ma di una madre che piange il figlio che lei stessa ha condannato.

Se il regista non ha intenzione di completare l’intera serie di Herbert ma vuole creare un’opera autonoma e conclusiva, è difficile immaginare un epilogo migliore. Rebecca Ferguson che appare negli ultimi minuti del film, il suo personaggio che si confronta con le rovine dell’impero costruito sul mito di Paul, rappresenterebbe la lezione definitiva sui pericoli di giocare con la profezia e il potere divino.

E al contempo, questo finale lascerebbe la porta aperta per futuri film sviluppati da altri cineasti, piantando i semi per Children of Dune senza vincolare Villeneuve a proseguire personalmente. Una scelta elegante, emotivamente devastante e narrativamente brillante: esattamente il tipo di audacia che ci si aspetta dal regista che ha reso Dune una delle saghe cinematografiche più acclamate del decennio.

Dune: Part Three è atteso nelle sale il 18 dicembre 2026. Con Timothée Chalamet, Zendaya, Florence Pugh e Anya Taylor-Joy confermati al cast, l’attesa per scoprire come Villeneuve chiuderà il cerchio non è mai stata così alta.

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