La serie Pluribus, nuova serie fantascientifica su Apple TV+, è avvolta da misteri fin dal suo esordio non solo nella trama, ma soprattutto nella sua natura tematica.
Secondo Gordon Smith, uno degli sceneggiatori e produttore esecutivo dello show, svelare quale messaggio sottende l’intero racconto rischia di rendere la serie “inutile”, perché priverebbe gli spettatori della libertà di interpretarla.
Smith ha dichiarato, in un’intervista rilasciata a The Hollywood Reporter, che definire il senso più profondo di Pluribus significherebbe limitarne il potere narrativo: “Se dicessi che è una metafora sul non usare il telefono, la gente non dovrebbe nemmeno guardare. Lo show diventerebbe inutile, diventerebbe senza significato.” Dal suo punto di vista, etichettare la serie con un’unica allegoria precisa è un errore: vincola l’immaginazione e impedisce alle persone di esplorare diverse letture.
Un tema ricorrente nello show riguarda l’intelligenza artificiale, in particolare con un’avvertenza presente nei titoli di coda che dichiara “made by humans”, un chiaro richiamo al fatto che tutta la realizzazione è frutto dell’ingegno umano. Questo dettaglio ha fatto emergere una lettura anti-AI, ma Smith preferisce che la serie resti più ambigua: “Dire che è solo contro l’IA limiterebbe la portata narrativa e la possibilità di interrogare domande interessanti per persone con punti di vista diversi.”
In questo senso, Pluribus funziona come un test di Rorschach, un’esperienza concettuale che vuole far riflettere e sentire in modi differenti a seconda dello spettatore. La protagonista, Carol Sturka (interpretata da Rhea Seehorn), è scrittrice romantasy e una delle poche persone immuni a un virus che trasforma gli altri in entità collettive, quasi monolitiche. Questa premessa distopica non è solo un espediente per genere, ma un modo per esplorare temi come la felicità artificiale, l’identità, l’arte e la tensione tra intrattenimento e integrità artistica.
Secondo Smith, l’assenza di spiegazioni nette serve a stimolare il coinvolgimento attivo dello spettatore: “voglio che la gente pensi e provi cose diverse in modi diversi.” Non è semplice evasione: è una serie che chiede partecipazione, riflessione, persino disagio. Lasciare aperti i significati significa valorizzare la complessità del mondo reale, in cui non ci sono risposte univoche su cosa significhi essere felici, liberi o “integrati” in un sistema.
C’è però un rovescio della medaglia: per alcuni spettatori, questa mancanza di chiarezza può risultare frustrante. Se il “perché” profondo resta visivo, criptico e sfuggente, c’è il rischio di un coinvolgimento intellettuale che non si traduce in una gratificazione narrativa concreta. Ma per Smith, proprio questa tensione è voluta: più che risolvere tutto, la serie vuole generare domande.
In conclusione, la posizione di Gordon Smith su Pluribus è radicale ma coerente con una visione autoriale ambiziosa: non offrirà una verità definitiva, perché il vero valore dello show sta nella sua ambiguità. Svelare troppo significherebbe tradire lo spirito della serie, rendendola statica e prevedibile. E in un mondo in cui spesso vogliamo risposte, Pluribus sembra preferire il potere del dubbio.