C’è un film d’animazione che sta facendo parlare di sé nei circuiti festivalieri di tutta Europa, e il suo arrivo nelle sale italiane il primo gennaio 2026 si preannuncia come uno degli eventi cinematografici più attesi dell’anno.

La piccola Amélie non è solo un’opera prima: è un fenomeno che ha saputo conquistare pubblico e critica con una dolcezza rara, quella capace di attraversare le barriere linguistiche e culturali per toccare corde universali.

Distribuito da Lucky Red, il lungometraggio diretto da Mailys Vallade e Liane-Cho Han Jin Kuang porta sullo schermo l’adattamento de “La metafisica dei tubi”, best-seller della celebre scrittrice belga Amélie Nothomb. Ma ciò che rende questo progetto davvero speciale è la sua capacità di tradurre in linguaggio visivo l’intimità vertiginosa della prima infanzia, quel periodo magico in cui ogni scoperta è un universo e ogni emozione ha la forza di un terremoto interiore.

Il palmares parla chiaro: premio del pubblico al prestigioso festival di Annecy, il più importante appuntamento mondiale dedicato all’animazione, miglior film europeo a San Sebastián, menzione speciale ad Alice nella città durante l’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma. E ora arriva la candidatura agli European Film Awards in due categorie di peso: miglior film e miglior film d’animazione. Non male per due registi al loro debutto assoluto con un lungometraggio.

Eppure, parlare di esordienti sarebbe riduttivo. Mailys Vallade e Liane-Cho Han Jin Kuang vengono da anni di gavetta nell’animazione d’autore europea: lei ha lavorato come animatrice a Ernest & Celestine di Benjamin Renner, lui a L’illusionista di Sylvain Chomet. Entrambi hanno contribuito agli storyboard de Il piccolo principe di Mark Osborne, il campione d’incassi che ha dimostrato come l’animazione possa essere sofisticata e popolare allo stesso tempo. Con La piccola Amélie, i due registi mettono a frutto questa esperienza per costruire un’opera che respira di vita propria.

La storia si immerge nella dimensione della prima infanzia attraverso gli occhi di una bambina di tre anni che vive sospesa tra due mondi, tra due culture. Ambientato in Giappone, il film racconta come Amélie, all’età di due anni, percepisca il mondo come un mistero impenetrabile. Finché la scoperta del cioccolato bianco non accende letteralmente i colori della realtà che la circonda. Da quel momento, nasce in lei una curiosità irrefrenabile verso le persone che popolano le sue giornate, in particolare Nishio-san, la sua tata giapponese.

È proprio attraverso il legame profondo che si instaura tra la bambina e la sua tata che il film trova il suo cuore pulsante. Nishio-san diventa la guida di Amélie in un viaggio di scoperta fatto di tradizioni, piccoli rituali quotidiani e quella magia nascosta nei gesti più semplici che solo l’infanzia sa cogliere con tale intensità. Il Giappone non è qui un semplice sfondo esotico, ma un personaggio a tutti gli effetti, con la sua poetica del dettaglio, la sua attenzione reverenziale verso le piccole cose, la sua capacità di trovare il sacro nel quotidiano.

Ciò che colpisce del trailer italiano, ora disponibile, è proprio questa qualità contemplativa dello sguardo. L’animazione scelta dai registi privilegia la delicatezza, i toni pastello, i movimenti fluidi che ricordano l’acquerello in movimento. Niente iperrealismo digitale o effetti pirotecnici: qui ogni fotogramma è al servizio dell’emozione, della costruzione di un universo interiore che rispecchia fedelmente come una bambina di quell’età percepisca e elabori la realtà circostante.

Il film si muove con dolcezza, determinazione, paura, stupore e quel pizzico di insolenza che appartiene all’infanzia quando inizia ad affermare la propria individualità. È un’opera scritta e diretta “ad altezza bambino”, come recita giustamente la sinossi, ma questo non significa che sia rivolta solo ai più piccoli. Al contrario, La piccola Amélie parla a chiunque conservi memoria di quel periodo della vita in cui tutto era nuovo, tutto era possibile, tutto aveva un sapore più intenso.

La scelta di Lucky Red di portare il film nelle sale italiane il primo gennaio non è casuale: è il momento perfetto per un’opera che parla di rinascita, scoperta e meraviglia. Dopo le feste, quando il pubblico cerca storie capaci di emozionare senza manipolare, di intrattenere senza banalizzare, di sorprendere senza urlare. La piccola Amélie promette di essere tutto questo: una fiaba straordinaria che cattura lo stupore dell’infanzia e lo restituisce intatto allo spettatore, quale che sia la sua età.

Il successo nei festival non è garanzia di successo commerciale, è vero. Ma c’è qualcosa in questo film che sembra andare oltre le logiche di mercato. Forse è la sua capacità di parlare un linguaggio universale attraverso una storia profondamente specifica. Forse è la maestria artigianale di un’animazione che rifiuta le scorciatoie tecnologiche per abbracciare la poesia del disegno. Forse è semplicemente l’onestà emotiva con cui racconta un passaggio cruciale della vita umana, quello in cui si passa dall’essere al diventare, dal mistero alla comprensione, dal silenzio alla parola.

Mentre il cinema d’animazione contemporaneo si dibatte tra blockbuster ad alto budget e opere d’autore destinate alla nicchia, La piccola Amélie dimostra che esiste una terza via: quella di film capaci di essere accessibili senza essere semplicistici, poetici senza essere ermetici, universali senza perdere la propria specificità culturale. Il primo gennaio, finalmente, anche il pubblico italiano potrà scoprire perché questo piccolo grande film sta facendo innamorare l’Europa.

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