Ci sono voluti anni. Anni di attesa, di speculazioni, di fan che si chiedevano se avrebbero mai rivisto i Cavalieri sul grande schermo. E ora che Now You See Me: Now You Don’t è finalmente nelle sale, la domanda bruciante non è più “quando”, ma “come”.

Come si costruisce un terzo capitolo di una saga che ha fatto della misdirezione la sua cifra stilistica? Come si sorprende un pubblico che ormai conosce ogni trucco del mazzo? La risposta arriva direttamente dalla voce di Ruben Fleischer, il regista che ha accettato la sfida più grande: dirigere un film in cui nulla è come sembra, nemmeno il film stesso. In un’intervista esclusiva insieme al produttore Bobby Cohen, i due architetti di questa nuova illusione cinematografica hanno sollevato il velo su quello che potrebbe essere il sequel più ambizioso della trilogia.

“Mi sono avvicinato al film come un fan”,

confessa Fleischer, il cui curriculum spazia da Zombieland a Venom, passando per Uncharted.

“Mi sono chiesto: cosa vorrei vedere io nella prossima versione di un film di Now You See Me? E l’ho riempito di tutta la magia possibile.”

Ma c’è qualcosa di più profondo in questa affermazione. Fleischer non parla solo di effetti speciali o di scene d’azione elaborate. Parla di magia autentica catturata in camera, senza trucchi digitali che possano tradire la fiducia dello spettatore.

Ed è proprio qui che Bobby Cohen entra in scena con una rivelazione che cambia la prospettiva sull’intera saga.

“Quando stavamo costruendo il primo film, ci siamo scontrati con un problema fondamentale: come fai a far funzionare un film sulla magia al cinema? Se fai un trucco davanti a te dal vivo, ha potere perché è reale. Ma sullo schermo? Il pubblico sa che i film sono illusione per definizione. Spegni la camera, rimetti il coniglio nel cappello, riaccendi la camera, tiri fuori il coniglio. Non c’è vera meraviglia.”

La soluzione che hanno trovato è tanto semplice quanto geniale: trasformare l’intero film in un trucco.

“La struttura del primo film è la struttura di un numero di magia”, spiega Cohen. “Il primo atto è ‘scegli una carta’. Il secondo atto è ‘mescola il mazzo’. Il terzo atto è ‘questa è la tua carta?’ È un’architettura narrativa che richiede precisione chirurgica, e che diventa sempre più complessa a ogni capitolo. Sono ingannevolmente complicati da concepire, questi film, perché non vuoi che il pubblico senta di aver già visto una variazione dello stesso trucco.”

Ed è per questo che ci sono voluti così tanti anni. Non per mancanza di interesse o di idee, ma perché l’idea giusta non si materializzava.

“In un universo parallelo da qualche parte, probabilmente abbiamo fatto il film prima. Ma non avevamo il concetto giusto. Non volevamo tradire tutto il grande lavoro che era venuto prima.”

Il punto di svolta è arrivato quando Fleischer e Cohen hanno iniziato a porsi una domanda diversa: cosa succede ai Cavalieri dopo dieci anni? Non dieci anni narrativi, ma dieci anni reali. Jesse Eisenberg, Woody Harrelson, Dave Franco, Isla Fisher: non sono più i giovani rampanti del primo film. Sono cresciuti, alcuni hanno famiglie, responsabilità.

“Riconosciamo che sono più vecchi, che sono in un posto diverso della loro vita. Alcuni sono sposati, hanno figli, stanno affrontando tutte quelle cose che succedono quando invecchi.”

E qui arriva il twist più inaspettato del film: l’introduzione di una nuova generazione di maghi. Justice Smith, Dominic Sessa, Ariana Greenblatt rappresentano una visione completamente diversa di cosa significhi essere un mago che combatte per i più deboli.

“Hanno idee molto diverse sul mestiere, su cosa significhi essere un mago”, spiega Cohen. “E quella tensione genera buon dramma.”

È un confronto generazionale che riflette il mondo reale, dove TikTok e Instagram hanno democratizzato la magia, rendendola accessibile ma forse meno misteriosa.

Il cast stellare si completa con Rosamund Pike nel ruolo dell’antagonista e Morgan Freeman che ritorna in un universo che ha contribuito a costruire. Ma la vera sfida, secondo Fleischer, era mantenere quella qualità che Cohen definisce “galleggiabilità”: non semplicemente energia cinetica, ma una sensazione di leggerezza e ritmo che usa il montaggio per creare un’emozione specifica.

“È diverso dal muovere semplicemente la camera. La galleggiabilità è un sentimento. Ed è qualcosa che Ruben sa fare incredibilmente bene.”

La fiducia tra il regista e gli attori è stata fondamentale. Fleischer ha una lunga storia di collaborazione con Eisenberg e Harrelson, una familiarità che si è immediatamente trasmessa al resto del cast. “I film sono duri da fare”, ricorda Cohen.

“Sono sessanta, settanta giorni, gli orari sono folli. Devi davvero fidarti.”

E quella fiducia ha permesso di spingersi oltre i limiti, di girare in location esotiche, di realizzare illusioni sempre più complesse mantenendo tutto il più possibile in camera.

E il quarto capitolo? È già stato annunciato, confermando che i Cavalieri non hanno ancora esaurito i loro trucchi. Ma Cohen e Fleischer restano riservati sui dettagli, fedeli alla filosofia che ha reso questa saga un fenomeno: non svelare mai il trucco fino all’ultimo momento. “Ci sono piani”, sorride Cohen. “Ma non sarebbe divertente se ve li raccontassimo ora, vero?”

Now You See Me: Now You Don’t non è solo un sequel. È una meditazione sul passare del tempo, sul conflitto tra tradizione e innovazione, sul prezzo della fama e sull’eredità che lasciamo. E come ogni grande trucco di magia, funziona perché ci credi. Almeno fino a quando non ti voltano il mazzo e ti fanno vedere cosa c’era davvero dall’altra parte.

Di Martina Bernardo

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical

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