Quando Quentin Tarantino parla di cinema, il mondo ascolta. Non è solo uno dei registi più influenti della sua generazione, ma anche un cinefilo vorace, capace di trasformare le sue passioni personali in manifesti culturali.
Dalle serie televisive come “Justified” – che lo portò a scritturare Timothy Olyphant per “C’era una volta a Hollywood” – fino alla sua venerazione per il cinema blaxploitation e gli spaghetti western, Tarantino ha sempre fatto della sua enciclopedia cinematografica una fonte di ispirazione continua. Ma c’è un film in particolare che occupa un posto speciale nel suo pantheon personale: “Sorcerer” del 1977.
Diretto da William Friedkin, scomparso nel 2023, questo thriller rappresenta uno dei paradossi più affascinanti della storia del cinema. Uscito relativamente poco dopo il trionfo de “L’esorcista”, “Sorcerer” racconta la storia di quattro criminali emarginati che si ritrovano in Sud America per un lavoro apparentemente impossibile: trasportare un carico di dinamite instabile attraverso territori ostili. Ogni sobbalzo, ogni curva potrebbe essere l’ultimo. Il materiale esplosivo potrebbe detonare in qualsiasi momento, e con esso i sogni di redenzione di questi uomini disperati.
Il film fu un clamoroso insuccesso commerciale al momento della sua uscita. La critica lo stroncò, il pubblico lo ignorò. Eppure, con il passare degli anni, “Sorcerer” è stato riscoperto e rivalutato fino a essere considerato niente meno che un capolavoro assoluto, un’opera che ha lasciato un’impronta indelebile sul cinema moderno. Tarantino non è stato l’unico a riconoscerne la grandezza: anche Francis Ford Coppola e Christopher Nolan hanno ammesso di aver tratto ispirazione da questo gioiello misconosciuto di Friedkin.
Ma cosa rende “Sorcerer” così speciale agli occhi di questi maestri del cinema? La risposta si trova in una sequenza che ha fatto la storia della tensione cinematografica: la scena del ponte. In questo momento iconico, i protagonisti devono attraversare un ponte di legno traballante con i loro camion carichi di esplosivo, mentre sotto di loro un fiume impetuoso minaccia di inghiottire tutto. “La scena del ponte è semplicemente uno dei grandi momenti di suspense nella storia del cinema”, ha dichiarato Tarantino nel documentario “Friedkin Uncut”.
Ciò che rende questa sequenza ancora più straordinaria è la sua realizzazione. In un’epoca in cui gli effetti speciali iniziavano a prendere piede, Friedkin scelse la via più pericolosa e autentica: tutto fu girato in maniera completamente pratica. Niente miniature, niente stop-motion, niente proiezioni posteriori. Solo due camion reali, dinamite finta e un ponte che oscillava davvero sopra acque reali.
“Se volevi mostrare qualcosa di straordinario, dovevi fare qualcosa di straordinario e fotografarlo“, ha spiegato Francis Ford Coppola, anch’egli intervistato per il documentario su Friedkin. La sequenza fu costruita inquadratura per inquadratura, con un sistema idraulico nascosto sotto il ponte che lo faceva oscillare, mentre i camion erano ancorati in modo invisibile alla struttura. Ma questo non significava che fosse sicuro.
Friedkin stesso ha ammesso che entrambi i camion finirono nell’acqua più volte durante le riprese. E in almeno un’occasione, il regista era personalmente a bordo di uno dei veicoli quando questo precipitò nel fiume. Questa dedizione maniacale alla fotografia pratica, questo rifiuto del compromesso in nome di una realtà viscerale e tangibile, ha fatto scuola per generazioni di cineasti.
Non è un caso che tanto Tarantino quanto Christopher Nolan – entrambi noti per privilegiare gli effetti pratici rispetto alla computer grafica – abbiano fatto di “Sorcerer” un punto di riferimento. In un’era dominata dalla post-produzione digitale, questo film degli anni ’70 continua a ricordarci che la vera intensità cinematografica nasce dal rischio reale, dalla presenza fisica degli attori e degli oggetti di scena, dalla consapevolezza che ciò che vediamo sullo schermo è realmente accaduto.
“Sorcerer” è la prova vivente che un flop può trasformarsi in un’opera immortale. È un film che parla di uomini al limite, spinti dalla disperazione a sfidare la morte per una possibilità di redenzione. E forse è proprio questa tensione esistenziale, questa danza sul filo del rasoio tra vita e morte, che continua a risuonare con filmmaker come Tarantino, artisti che hanno fatto del cinema un territorio dove esplorare gli estremi della condizione umana.
Quando un maestro del calibro di Quentin Tarantino definisce un film come uno dei più grandi mai realizzati, non è un complimento da poco. È un invito a riscoprire, a guardare con occhi nuovi ciò che il tempo aveva ingiustamente dimenticato. “Sorcerer” non è solo un thriller degli anni ’70: è una lezione di cinema puro, un promemoria del potere ipnotico delle immagini quando sono al servizio di una visione audace e senza compromessi.