Una rilettura feroce, sensuale e modernissima del classico gotico che ha definito l’amore come maledizione

Ci sono storie che non possono essere semplicemente adattate. Devono essere evocate. Richiamate come spiriti antichi. Cime Tempestose è una di queste: un romanzo che non appartiene al romanticismo, ma all’istinto, all’ombra, all’ossessione. Emily Brontë non raccontava l’amore: raccontava la sua combustione.

Ora, quel fuoco torna al cinema attraverso la visione radicale di Emerald Fennell, una regista che negli ultimi anni ha ridefinito il concetto di desiderio e distruzione. Con Margot Robbie e Jacob Elordi, Fennell non si accontenta di rimettere in scena Catherine e Heathcliff: li reinventa. Ne scava l’infanzia, il linguaggio, la ferita. Li rende più animali, più istintivi, più veri.

Il risultato è un film che promette non un adattamento, ma una possessione.

Il nuovo Cime Tempestose abbandona la patina del period drama per tornare all’essenza della storia: due anime selvagge che si trovano nel luogo sbagliato della storia, del tempo e del mondo. Catherine ed Heathcliff crescono in un paesaggio ostile — e Fennell ci tiene a sottolinearlo: la brughiera non è sfondo, è personaggio. È vento che taglia, fango che sporca, erba che graffia. È la terza presenza eterna del film.

Heathcliff, raccolto come un trovatello, non è più il misterioso principe oscuro delle versioni edulcorate: qui è un ragazzo pieno di rabbia, vulnerabilità e desiderio di appartenere a qualcosa. Jacob Elordi gli dona fisicità, silenzio, sguardo basso e improvvise esplosioni emotive. È un Heathcliff modernissimo, quasi tragicamente contemporaneo.

Catherine, interpretata da una Margot Robbie che sembra nata per questo ruolo, è una creatura di contraddizioni: selvaggia e raffinata, pura e crudele, irresistibile e devastante. Robbie ne offre una versione febbrile, più psicologica che melodrammatica, quasi una giovane donna consumata dall’impossibilità di un amore che si sente più come un destino che come una scelta.

Fennell gioca con il tempo, con la memoria, con la percezione. Il film non è lineare: è un montaggio emotivo. Ricordi che tornano come spifferi gelidi, flash di infanzia, un alternarsi di natura e interni stretti, luci naturali e interposti moderni.

La regista osa, rischia, rompe certi codici: è un Cime Tempestose che vuole emozionare, disturbare, sedurre e respingere nello stesso momento.

La fotografia è ruvida, quasi granosa, con una palette che passa dalle tinte sporche della brughiera ai bagliori soffocanti delle case dei Linton. I costumi, raffinati ma non patinati, mescolano fedeltà storica e tagli più asciutti, come se l’epoca fosse un’eco, non un confine.

E poi c’è il suono: il vento che ulula come un lamento antico, i passi sul legno, il battito del cuore nei momenti di contatto, e una colonna sonora che alterna archi tradizionali a innesti contemporanei che amplificano l’ossessione.

Il film non teme la crudeltà: né quella sociale, né quella emotiva.

Heathcliff e Catherine non sono una coppia da idolatrare: sono una tragedia annunciata. E Fennell lo mostra con una sincerità spiazzante.

Margot Robbie regala una Catherine vulnerabile e imprevedibile, lontana dai cliché romantici. Jacob Elordi, sempre più attore generazionale, costruisce un Heathcliff istintivo e tormentato. Accanto a loro emergono interpretazioni incisive di Hong Chau, Shazad Latif, Alison Oliver e un ensemble che dona alla storia un realismo umano e crudo.

La fotografia di Linus Sandgren plasma un mondo che è insieme reale e mitologico, mentre i costumi di Jacqueline Durran aggiungono strati di identità ai personaggi, evitando il museo per restituire vita.

Questa nuova versione di Cime Tempestose non cerca di essere “la più fedele” né “la più romantica”. Vuole essere la più vera.

Vuole restituire al pubblico il motivo per cui quel romanzo è sopravvissuto quasi due secoli: perché parla dell’amore che si contorce, che divora, che non guarisce.

Se Emerald Fennell mantiene ciò che promettono le prime immagini, ci troveremo davanti a una delle opere più potenti del 2026: un film che non consola, ma risveglia. Un film che non si guarda, si sente.

Come un vento che arriva da lontano e non si riesce più a ignorare.

Di Martina Bernardo

Vengo da un galassia lontana lontana... Appassionata di cinema e serie tv anche nella vita precedente e devota ai Musical