C’è qualcosa di profondamente personale, quasi intimo, nel debutto alla regia di Kate Winslet. Non si tratta solo di un’attrice pluripremiata che decide di mettersi dall’altra parte della macchina da presa, ma di una madre che sceglie di dare vita alle parole scritte da suo figlio Joe Anders.

Goodbye June è questo: un passaggio di testimone generazionale, un atto d’amore familiare che diventa cinema, e che Netflix ha scelto di lanciare nel momento più emotivo dell’anno, il 24 dicembre. La storia ruota attorno a June, interpretata da una magistrale Helen Mirren, una donna anziana la cui salute precipita proprio durante le feste di fine anno. Mentre il corpo cede, lo spirito rimane fiero e tagliente. June non è una madre che si lascia compatire: affronta la morte con ironia, sincerità brutale e un amore che tiene insieme una famiglia sul punto di sgretolarsi. I suoi quattro figli adulti, interpretati da Toni Collette, Andrea Riseborough, Johnny Flynn e dalla stessa Kate Winslet, si ritrovano a fare i conti non solo con l’imminente perdita, ma con tutte le dinamiche irrisolte che solo le famiglie sanno generare.

Il cast è una dichiarazione d’intenti. Helen Mirren porta il peso emotivo del film con quella capacità unica di essere regale e vulnerabile allo stesso tempo. Al suo fianco, Timothy Spall veste i panni dell’ex marito di June, un personaggio descritto come acido e inopportuno, perfetto per creare quella tensione necessaria che trasforma un dramma familiare in qualcosa di autenticamente credibile. Toni Collette, reduce da una carriera costruita su personaggi complessi e sfaccettati, si inserisce perfettamente in questo mosaico di rapporti complicati, mentre Andrea Riseborough e Johnny Flynn completano il ritratto di una famiglia imperfetta ma profondamente umana.

Quello che rende Goodbye June particolarmente interessante è la sua genesi. La sceneggiatura firmata da Joe Anders non è un progetto qualunque capitato nelle mani di Kate Winslet: è la storia che sua madre ha scelto di raccontare come primo film da regista. Questa dimensione autobiografica, seppur non dichiarata nei dettagli, permea ogni frame di un’opera che promette di esplorare la morte non come tabù, ma come ultimo atto d’amore e connessione.

Netflix ha puntato su un lancio strategico: il 24 dicembre, la vigilia di Natale, quando le famiglie si riuniscono e i sentimenti si amplificano. È una scelta coraggiosa, programmare un dramma sulla perdita e la mortalità nel cuore delle celebrazioni, ma è anche un calcolo preciso. Le feste sono il momento in cui le persone cercano storie che parlino di legami, di riconciliazione, di ciò che davvero conta. E Goodbye June sembra costruito esattamente per questo.

Il trailer italiano ufficiale, già disponibile, non lascia spazio a dubbi: preparate i fazzoletti. Le immagini mostrano una famiglia che ride, piange, litiga e si abbraccia, con June al centro di tutto, lucida e combattiva fino all’ultimo respiro. La fotografia calda e la colonna sonora delicata costruiscono un’atmosfera che oscilla tra la nostalgia e la speranza, tra il dolore della separazione e la gratitudine per il tempo condiviso.

Per Kate Winslet, questo debutto alla regia rappresenta un rischio calcolato. Conosciuta per interpretazioni iconiche che spaziano da Titanic a Eternal Sunshine of the Spotless Mind, passando per The Reader che le valse l’Oscar, Winslet ha sempre dimostrato una sensibilità particolare nel trattare emozioni complesse. Portare quella stessa sensibilità dietro la macchina da presa, dirigendo colleghi del calibro di Helen Mirren e Timothy Spall, richiede non solo talento tecnico ma anche autorevolezza e visione. Il fatto che abbia scelto di recitare anche nel film aggiunge un ulteriore livello di complessità: Winslet si sdoppia, dirige se stessa, gestisce le dinamiche di un cast stellare e dà forma alle parole di suo figlio.

Goodbye June arriva in un momento particolare per il cinema del dolore e della famiglia. Dopo anni di blockbuster e franchise, c’è una fame crescente di storie intime, di drammi che non hanno paura di guardare in faccia la fragilità umana. Film come The Father con Anthony Hopkins o Aftersun hanno dimostrato che il pubblico è pronto a confrontarsi con narrazioni mature ed emotivamente impegnative, a patto che siano costruite con onestà e rispetto.

La scelta di ambientare la storia durante le feste non è casuale. Il Natale amplifica tutto: le gioie, i rimpianti, le assenze. È il momento dell’anno in cui le sedie vuote si notano di più, in cui i non detti pesano come macigni. June, con la sua ironia tagliente e il suo rifiuto della pietà, promette di sovvertire il cliché del dramma lacrimoso trasformandolo in una celebrazione della vita anche di fronte alla morte.

Netflix ha scommesso forte su questo progetto, posizionandolo come il film delle feste 2024. Non un divertissement leggero, non una commedia romantica natalizia, ma un dramma familiare profondo che chiede allo spettatore di portare con sé tutta la propria umanità. La piattaforma, che negli ultimi anni ha consolidato la sua reputazione anche nel cinema d’autore e nei drammi di qualità, punta evidentemente a conquistare quella fetta di pubblico che cerca contenuti emotivamente significativi.

Il 24 dicembre, tra pandoro e cenone, Goodbye June busserà alle porte delle case di milioni di abbonati. Sarà interessante vedere come il pubblico accoglierà questo esordio alla regia di Kate Winslet, come reagirà a Helen Mirren nei panni di una madre morente che rifiuta di essere solo una vittima, e come questo film si inserirà nel canone sempre più ricco dei drammi familiari contemporanei. Una cosa è certa: i fazzoletti, come suggerisce ironicamente la stessa sinossi, è meglio averli a portata di mano.

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