Cinquantaquattro anni di carriera. Centoquarantasette nomination agli Oscar. Venticinque statuette conquistate. Nove candidature come miglior regista, con due vittorie che hanno fatto storia.
Steven Spielberg non è semplicemente uno dei registi di maggior successo di Hollywood: è il narratore che ha ridefinito il linguaggio cinematografico moderno, attraversando sei decadi senza mai perdere la capacità di emozionare, stupire e provocare riflessioni profonde.
La traiettoria di Spielberg inizia in televisione, con il film per il piccolo schermo Duel che cattura immediatamente l’attenzione della critica. Segue il crime drama The Sugarland Express, ma è con Lo squalo che il giovane regista inventa letteralmente il blockbuster estivo, cambiando per sempre il modo in cui Hollywood concepisce il successo commerciale. Certo, non mancano gli inciampi: pellicole come 1941 e Hook hanno dimostrato che anche i maestri possono sbagliare. Ma la percentuale di capolavori rispetto ai passi falsi rimane schiacciante.
Quello che rende Spielberg un fenomeno unico è la sua capacità di ottenere almeno una nomination agli Oscar in ogni decade della sua carriera. La prima arriva nel 1977 con Incontri ravvicinati del terzo tipo, l’ultima nel 2022 con The Fabelmans. Questa costanza non ha eguali nella storia del cinema: mentre altri grandi autori attraversano periodi di oblio o declino, Spielberg continua a reinventarsi, passando dai thriller ad alto budget ai drammi intimisti, dalla fantascienza all’analisi storica più rigorosa.
Gli anni Settanta rappresentano la nascita di un mito. Dopo aver terrorizzato le spiagge di tutto il mondo con Lo squalo nel 1975, Spielberg avrebbe potuto replicare la formula del successo. Invece sceglie di osare con Incontri ravvicinati del terzo tipo, un film di fantascienza che ribalta ogni convenzione del genere. Niente invasioni aliene, niente distruzione apocalittica: solo il ritratto intimo di un uomo, interpretato da Richard Dreyfuss, così ossessionato dal mistero extraterrestre da sacrificare la propria famiglia nella ricerca della verità.
Il film esplora un tema che diventerà ricorrente nell’opera spielberghiana: l’abbandono e la frammentazione del nucleo familiare. Ma lo fa attraverso immagini di straordinaria potenza visiva, culminanti nell’incontro finale con una nave madre che è pura poesia cinematografica. Spielberg riesce persino a convincere la leggenda del cinema francese François Truffaut ad accettare un ruolo, testimonianza del rispetto che il progetto suscitava anche negli ambienti più intellettuali. La Biblioteca del Congresso inserirà Incontri ravvicinati nel National Film Registry nel 2007, mentre il film conquista nove nomination agli Oscar, vincendo per la migliore fotografia.
Gli anni Ottanta si aprono con una dichiarazione d’intenti che suona come una promessa mantenuta. Dopo l’inciampo di 1941, Spielberg collabora con George Lucas per dare vita a I predatori dell’arca perduta, un’avventura che attinge ai serial cinematografici dell’infanzia del regista e all’epica di Lawrence d’Arabia. Indiana Jones nasce perfetto: la sequenza iniziale nella giungla sudamericana rimane uno dei migliori incipit d’azione mai girati, mentre la caccia all’Arca dell’Alleanza contro i nazisti costruisce tensione su tensione fino all’esplosione soprannaturale finale.
Il film genera un franchise che attraverserà i decenni, con sequel nel 1984 e 1989, poi nel 2008 e infine nel 2023, anche se quest’ultimo senza la regia di Spielberg. Nessuno di questi capitoli, per quanto validi, raggiunge la perfezione del primo, con l’eccezione de Indiana Jones e l’ultima crociata che si avvicina molto. Gli anni Ottanta vedono anche E.T. l’extra-terrestre, altro trionfo commerciale e artistico, ma è proprio in questo decennio che Spielberg comincia a esplorare territori più seri: Il colore viola nel 1985, tratto dal romanzo di Alice Walker, e L’impero del sole nel 1987, basato sul libro di J.G. Ballard.
I predatori dell’arca perduta porta a casa quattro Oscar, inclusi migliore scenografia, miglior montaggio e un premio speciale per gli effetti sonori. Le nomination come miglior regista si accumulano, ma la statuetta più importante deve ancora arrivare.
Gli anni Novanta rappresentano l’apoteosi artistica di Steven Spielberg, un decennio talmente denso di capolavori da rendere quasi impossibile la scelta di un solo film. Nel 1993 accade qualcosa di irripetibile: Spielberg rilascia sia Jurassic Park che Schindler’s List, dimostrando di poter dominare sia il blockbuster tecnologico che il dramma storico più devastante. Cinque anni dopo arriva Salvate il soldato Ryan, altro monumento del cinema bellico. Tre film che da soli basterebbero a definire una carriera leggendaria.
Jurassic Park rivoluziona l’uso della CGI, creando dinosauri che ancora oggi emozionano. Ma è Schindler’s List a rappresentare la vetta assoluta del decennio. Girato in un bianco e nero che evoca le immagini documentarie della Shoah, il film racconta la storia di Oskar Schindler, l’imprenditore tedesco che salvò oltre mille ebrei dai campi di sterminio. È un film devastante nella sua onestà, che non cerca facili catarsi ma costringe lo spettatore a confrontarsi con l’orrore assoluto e con le piccole, fragili luci di umanità che possono brillare anche nel buio più profondo.
Spielberg vince il suo primo Oscar come miglior regista proprio per Schindler’s List, che conquista anche la statuetta per il miglior film. Salvate il soldato Ryan, con la sua sequenza di apertura sullo sbarco in Normandia che ridefinisce il realismo bellico al cinema, gli porta il secondo Oscar per la regia, anche se il film perde inspiegabilmente il premio per il miglior film contro Shakespeare in Love, una delle scelte più controverse nella storia dell’Academy.
Gli anni Duemila vedono Spielberg esplorare nuovi territori della fantascienza con Minority Report, adattamento del 2002 del racconto visionario di Philip K. Dick. In un futuro distopico, la polizia arresta i criminali prima che commettano i reati, grazie a tre pre-cognitivi in grado di vedere il futuro. Tom Cruise interpreta un detective del sistema che si ritrova accusato di un omicidio che non ha ancora commesso, innescando una riflessione sul libero arbitrio, sul destino e sulla possibilità di redenzione.
Il film è un thriller serrato che funziona su molteplici livelli: come puro intrattenimento visivo, come speculazione fantascientifica credibile e come interrogativo filosofico sulla natura umana. Spielberg crea un mondo futuro plausibile nei dettagli, dalle interfacce gestuali che anticiperanno tecnologie reali alle automobili a guida magnetica. Il decennio inizia con A.I. Intelligenza Artificiale, progetto che Spielberg completa per l’amico Stanley Kubrick, e prosegue con War of the Worlds, nuova collaborazione con Cruise. Ma è Minority Report a rappresentare la quintessenza del cinema spielberghiano del nuovo millennio.
La carriera di Steven Spielberg è un viaggio attraverso l’evoluzione stessa del cinema. Da Incontri ravvicinati a The Fabelmans, passando per I predatori dell’arca perduta, Schindler’s List e Minority Report, ogni decade ha il suo capolavoro. E in ognuno di questi film pulsa lo stesso cuore: la capacità di trasformare storie universali in esperienze personali, di farci guardare verso le stelle mentre ci ricorda l’importanza delle radici, di intrattenerci mentre ci fa riflettere. Non molti autori possono vantare una simile longevità artistica. Ancora meno possono dire di aver definito il cinema stesso.