Nel vasto pantheon di Hollywood, pochi nomi brillano come quelli di Francis Ford Coppola e James Cameron. Otto statuette Oscar tra loro due, una filmografia che ha riscritto le regole del cinema contemporaneo, incassi miliardari.
Eppure, anche i giganti inciampano. E a volte inciampano nello stesso identico punto, con una sincronia che sembra scritta da uno sceneggiatore particolarmente ironico del destino. Il punto in questione? Un titolo: Dark Angel.
La coincidenza è tanto bizzarra quanto rivelatrice. Due maestri del cinema, due epoche diverse, due progetti completamente distinti accomunati da un nome generico e, soprattutto, dallo stesso destino di insuccesso. Non è solo una curiosità da cinefili: è una lezione su come nemmeno il talento cristallino e l’influenza titanica possano garantire il successo quando gli elementi non si allineano.
Fu Francis Ford Coppola il primo a scommettere su Dark Angel. Era il 1996 e il regista de Il Padrino, attraverso la sua American Zoetrope, decideva di fungere da produttore esecutivo per un film televisivo destinato a diventare un pilot per una serie. La trama seguiva Walter D’Arcangelo, detective di New Orleans interpretato da Eric Roberts, sulle tracce di un serial killer ossessionato dal simbolismo religioso. Le vittime? Donne adultere. Il protagonista? Un investigatore maverick, sposato con il proprio lavoro, tormentato e con un passato misterioso che lo rendeva persino sospettabile.
Il contesto sembrava perfetto. A metà degli anni Novanta, il thriller seriale viveva un momento d’oro grazie al successo monumentale di Seven di David Fincher, uscito appena un anno prima. Dark Angel di Coppola cavalcava quella stessa onda: atmosfere cupe, New Orleans come sfondo gotico e morboso, una caccia al mostro carica di tensione. La regia di Robert Iscove era efficiente, la performance di Roberts apprezzata dalla critica. Ma non bastò.
Il problema era strutturale: lo script di John Romano risultava troppo prevedibile, una collezione di cliché del genere assemblati con mestiere ma senza quella scintilla capace di distinguere un buon prodotto da uno memorabile. Dark Angel ottenne recensioni tiepide, l’audience fu modesta e Fox non diede mai il via libera alla serie completa. Il pilot rimase un esercizio isolato, dimenticato nei meandri della televisione degli anni Novanta.
Ma la storia di Dark Angel non finì lì. Nel 2000, mentre Francis Ford Coppola archiviava il suo tentativo televisivo, James Cameron decise di riprovarci con lo stesso identico titolo. Il regista si trovava in un momento particolare della sua carriera: aveva appena trionfato con Titanic, incassando Oscar e miliardi di dollari, ma Avatar era ancora lontano. Insieme a Charles Eglee, produttore e sceneggiatore con cui aveva già collaborato nel disastroso esordio Pirana II, Cameron fondò una casa di produzione e investì dieci milioni di dollari in un pilot di due ore.
Questa volta, però, Dark Angel aveva credenziali più solide. La protagonista era Jessica Alba nei panni di Max Guevara, una supersoldato geneticamente modificata in fuga in una Seattle distopica ambientata nel futuro prossimo del 2019. Cameron, già padre di icone action femminili come Ellen Ripley in Aliens e Sarah Connor nella saga di Terminator, attingeva da Battle Angel Alita per costruire una serie che cavalcava il trend di show incentrati su eroine forti, sulla scia di Xena e Buffy l’ammazzavampiri.
A differenza del progetto di Coppola, Dark Angel di Cameron ottenne il via libera. La prima stagione raccolse consensi positivi, premi e un seguito fedele. Ma anche in questo caso, il successo iniziale non bastò a garantire longevità. I costi di produzione erano esorbitanti: Eglee stesso ammise che il budget veniva regolarmente sforato. Fox iniziò a preoccuparsi e concesse una seconda stagione solo con riluttanza.
Poi arrivarono i problemi esterni. La concorrenza con Angel, lo spinoff di Buffy dal titolo pericolosamente simile, si fece sentire. Fox decise di cambiare lo slot orario, e gli ascolti cominciarono a crollare. Cameron, nel disperato tentativo di salvare lo show, diresse personalmente il finale di novanta minuti della seconda stagione, trasformandolo in un cliffhanger pensato per strappare il rinnovo. Fu il suo debutto alla regia televisiva, ma nemmeno la sua presenza stellare riuscì a salvare Dark Angel. Fox cancellò la serie, lasciando i fan con domande senza risposta e Cameron con un raro insuccesso nel curriculum.
Cosa ci insegnano questi due Dark Angel? Innanzitutto, che il talento e l’influenza non sono scudi infallibili contro il fallimento. Coppola e Cameron avevano le credenziali, i budget, il timing apparentemente giusto. Ma tra script non memorabili, decisioni di network miopi, costi insostenibili e scelte di programmazione sbagliate, entrambi i progetti naufragarono. E forse, c’è anche una lezione nascosta nella scelta del titolo: Dark Angel è così generico, così anonimo, da non riuscire a imprimersi nella memoria collettiva.
In un’industria dove il nome può fare la differenza tra un cult e un dimenticato, scegliere un titolo originale è sempre una buona idea. Anche se sei Francis Ford Coppola. Anche se sei James Cameron.