Quando il 19 dicembre 2025 le luci delle sale si spegneranno per accogliere Avatar: Fire and Ash, il pubblico mondiale non ritroverà soltanto Jake Sully e Neytiri.
Ad attenderli ci sarà qualcosa di profondamente diverso, un ribaltamento che promette di sfidare ogni certezza costruita nei primi due capitoli della saga di James Cameron. Perché se fino a oggi i Na’vi ci erano stati presentati come i custodi illuminati di Pandora, creature in perfetta sintonia con il respiro del pianeta, il terzo film introduce una verità scomoda: anche tra i Na’vi esiste la corruzione, la rabbia, il tradimento della natura stessa.
Il Clan del Fuoco, conosciuto come gli Ash People, rappresenta l’ombra della civiltà Na’vi. Una tribù che ha fatto l’impensabile: ha voltato le spalle a Eywa, la Grande Madre, e ha abbracciato la tecnologia bellica degli invasori umani. Non si tratta di una scelta ideologica, ma della conseguenza di una catastrofe che ha riscritto il destino di un intero popolo.
La genesi di questa trasformazione affonda le radici in un evento apocalittico. Gli antenati del Clan Mangkwan, un tempo parte della stessa stirpe degli Omatikaya, vivevano attorno a un imponente albero-madre al centro del loro villaggio. Ma quando un vulcano mastodontico eruttò, il fuoco e la cenere cancellarono tutto. L’albero sacro fu incenerito, le terre avvelenate, la connessione spirituale con Pandora spezzata. Ciò che rimase fu un popolo segnato dal fuoco, ricoperto di cenere, privato del suo paradiso.
Gli Ash People implorarono Eywa di riportarli alla loro forma originaria, di restituire loro il legame perduto. Ma le preghiere rimasero senza risposta. E quel silenzio generò qualcosa di inedito nell’universo Na’vi: il rancore. Una tribù che smise di venerare la natura e iniziò a odiarla. Abbandonarono le Tre Leggi di Eywa, quelle regole sacre che proibivano ai Na’vi di sfruttare la terra per costruire con pietra, metallo o aratro. Divennero i primi e unici Na’vi a usare armi da fuoco, a stringere alleanze con la Resources Development Administration e con il colonnello Miles Quaritch, il nemico giurato di Sully.
A guidare questa metamorfosi c’è Varang, interpretata da Oona Chaplin. Varang non è semplicemente una leader: è la salvatrice di un popolo sull’orlo dell’estinzione. Dopo la devastazione vulcanica, fu lei a sollevare la tribù dalla fame e dalla disperazione, diventando un’eroina per cui gli Ash People sono disposti a morire. Ma Cameron ci avverte: Varang non è una villain monolitica. Come ha dichiarato a Yahoo! Entertainment, il regista vuole superare il paradigma semplicistico “tutti gli umani sono cattivi, tutti i Na’vi sono buoni”. Varang farà cose che considereremmo malvagie, ma le farà per amore del suo popolo, indurito da una sofferenza inimmaginabile.
Questa complessità morale è il cuore pulsante di Avatar: Fire and Ash. La storia riprende un anno dopo gli eventi di Avatar: The Way of Water, con Jake e Neytiri ancora straziati dalla perdita del figlio Neteyam. Mentre cercano di ricostruire una vita con i Metkayina, il Clan dell’Acqua, vengono brutalmente attaccati dal Clan del Fuoco. È una guerra che non oppone semplicemente umani e Na’vi, ma Na’vi contro Na’vi, una lacerazione che mette in discussione l’identità stessa di Pandora.
Gli Ash People non combattono solo contro gli Omatikaya o i Metkayina. La loro ostilità si estende ad altre tribù come gli Aranahe e i Tlalim. Nel videogioco Avatar: Frontiers of Pandora, il DLC “From the Ashes” mostra proprio un attacco congiunto del Clan del Fuoco e della RDA contro gli Aranahe, con la distruzione del loro albero-madre nella foresta di Kinglor. È la dimostrazione che la minaccia rappresentata dagli Ash People non è confinata allo schermo cinematografico, ma permea l’intero universo narrativo costruito da Cameron.
Jack Champion, che interpreta Spider, il figlio adottivo di Quaritch cresciuto tra i Na’vi, ha descritto lo script del terzo film come una palla demolitrice che colpisce quando meno te lo aspetti. Secondo l’attore, Avatar: Fire and Ash prende una svolta brusca a sinistra, introducendo nuove regioni di Pandora e culture mai viste prima, promettendo un’esperienza superiore persino al secondo capitolo. E questo nonostante il film non sia solo uno scontro tra tribù: Cameron ha confermato l’introduzione di nuovi personaggi destinati a continuare la saga fino al quarto capitolo, come Peylak, leader dei Wind Traders nella tribù Tlalim, interpretato da David Thewlis.
Cameron ha spiegato a D3 Brazil che il Clan del Fuoco rappresenta le peggiori caratteristiche della razza Na’vi, specchiando la rabbia e la violenza che attraversano il nostro mondo contemporaneo. Gli Ash People incarnano quella parte di umanità – o di qualsiasi civiltà – capace di distruzione quando spinta dalla disperazione e dal dolore. Non sono semplicemente antagonisti: sono il prodotto di una tragedia ignorata, di preghiere rimaste senza eco.
E mentre Sully si prepara a proteggere ciò che resta della sua famiglia – Lo’ak, Tuk e Spider – con la stessa determinazione con cui Varang difende il suo popolo, il confine tra eroe e villain si assottiglia. Entrambi sono genitori disposti a tutto. Entrambi credono di combattere per la giustizia. Ma solo uno può avere ragione, o forse nessuno dei due.
Con meno di due mesi all’uscita nelle sale, Avatar: Fire and Ash promette di incendiare non solo Pandora, ma le nostre certezze sul bene e sul male. Perché quando anche il paradiso può bruciare, niente è più come sembra.