Tutti si svegliano per andare al lavoro con gli occhi brillanti e il senso del dovere. Anche ai vertici della sicurezza nazionale, la routine è ordinaria: briefing programmati, battute tra colleghi, il ritmo praticato di qualsiasi lavoro svolto per abitudine.
Kathryn Bigelow mostra con efficacia quanto la psiche americana si sia adagiata in questa comfort zone, persino per chi ha il compito di gestire le catastrofi. Ma adesso una testata nucleare sta viaggiando verso il midwest. Impatto previsto: 19 minuti. E ora?
Con A House of Dynamite, disponibile su Netflix dal 24 ottobre 2025 dopo un’uscita limitata nelle sale, la regista Premio Oscar riapre il capitolo della paranoia nucleare che aveva ossessionato il cinema della guerra fredda. I cineasti di quell’era si chiedevano cosa sarebbe successo quando la bomba fosse caduta: dal panico burocratico di Fail Safe (1964) al collasso totale di Threads (1984). I loro erano mondi preparati all’impatto. Bigelow invece stappa questa eredità di terrore atomico per personaggi talmente invischiati nelle loro routine da non aver mai davvero considerato il peggio.
Il film si sviluppa attraverso tre vignette che rimettono in scena gli stessi 19 minuti, spostandosi tra tre persone incaricate di prevenire, beh, la fine del mondo. Il primo capitolo segue Olivia Walker, interpretata dalla stella luminosa del film Rebecca Ferguson, un’ufficiale senior della Situation Room che arriva al lavoro proprio mentre viene rilevato un missile nucleare. Mentre l’orologio dell’apocalisse ticchetta verso lo zero, ogni piano di sicurezza e ogni protocollo si sgretolano. Le persone si paralizzano nel momento esatto in cui dovrebbero agire.
Questa è la sezione più tesa delle tre, ancorata in particolare dalle performance sorprendenti di Ferguson e degli attori che interpretano il suo equipaggio di base, in rapido disfacimento psicologico. Quando il cronometro si avvicina allo zero, A House of Dynamite si resetta all’inizio di una giornata panica per il vice consigliere per la sicurezza Jake Baerington, interpretato da Gabriel Basso, per poi passare a quella del presidente degli Stati Uniti, cui dà volto Idris Elba.
Man mano che il film entra nel suo tratto finale, la narrazione tesa di Bigelow si allenta. Il suo ritorno a personaggi familiari promette intuizioni profonde che non arrivano mai, ribadendo invece ciò che era già chiaro: tutti sono degli sciocchi maldestri. Specialmente il presidente di buon cuore, che riceve la notizia durante un evento di basket giovanile. Sembra più una mascotte che un comandante in capo, e la banalità della sua storia mina ciò che aveva reso l’apertura così efficace: il confronto sorpresa per il quale nessuno è preparato.
Nel loro insieme, le vignette consumano la forza l’una dell’altra. Bigelow trova momenti che mettono alla prova se qualcuno possa realmente sopportare il panico, ma la domanda appare superficiale. C.S. Lewis disse una volta: “Se saremo distrutti da una bomba atomica, che quella bomba, quando arriverà, ci trovi a fare cose sensate e umane”. Bigelow sembra suggerire che la sensatezza potrebbe essere troppo da chiedere.
I cineasti dell’era della guerra fredda costruivano mondi in attesa del peggio. Bigelow invece ci mostra un’America talmente immersa nella routine da aver perso la capacità di reagire quando il peggio si materializza davvero. A House of Dynamite non è solo un thriller nucleare: è uno specchio spietato puntato su una società che ha dimenticato come affrontare l’impensabile, troppo occupata a mandare avanti la macchina quotidiana per accorgersi che il cielo sta per caderle addosso.
Il film, della durata di 112 minuti e classificato come vietato ai minori, rappresenta il ritorno di Bigelow al territorio del thriller ad alta tensione che l’ha resa celebre. Ma questa volta la regista non si limita a raccontare il caos: ci chiede se qualcuno di noi, posto davanti all’inimmaginabile, sarebbe davvero all’altezza della situazione. La risposta che suggerisce non è rassicurante.