Ci sono film che nascono incompiuti per necessità, non per scelta. E poi ci sono registi come Quentin Tarantino, che non dimenticano. Per oltre vent’anni, tra le pieghe della storia del cinema contemporaneo, è esistita una versione di Kill Bill che il pubblico non aveva mai davvero visto.
Non una director’s cut qualunque, non un semplice montaggio esteso. Kill Bill: The Whole Bloody Affair è la visione originale che Tarantino aveva in mente prima che le logiche di mercato spezzassero in due la sua epopea di vendetta.
La storia di questa odissea cinematografica inizia negli uffici della Miramax, quando Harvey Weinstein, soprannominato non a caso “Harvey Scissorhands” per la sua ossessione nel tagliare i film, si trovò di fronte a un progetto che superava abbondantemente le tre ore. Per Weinstein, un film doveva essere breve, digeribile, commerciale. Per Tarantino, il montaggio è sacro quanto la sceneggiatura. Il compromesso raggiunto nel 2003 fu tanto semplice quanto doloroso: due film separati, Volume 1 e Volume 2, ciascuno della lunghezza ideale per i distributori, ma senza tagliare nemmeno un fotogramma girato.
Eppure Tarantino non ha mai smesso di parlare della sua intenzione di ricombinare i due volumi. La prima proiezione pubblica di The Whole Bloody Affair avvenne nel marzo 2011 al New Beverly Cinema di Los Angeles, il teatro storico che il regista stesso possiede. Poi, silenzio. Per quasi due decenni, il film è rimasto una leggenda sussurrata tra i cinefili, proiettato sporadicamente solo nei cinema di proprietà del regista. La ragione di questa attesa? Tarantino voleva aspettare di possedere completamente i diritti del film prima di concedergli una distribuzione ampia. Finalmente, nel dicembre 2025, The Whole Bloody Affair ha fatto il suo debutto nei cinema di tutto il paese.
Ma cosa rende questa versione così speciale? Non si tratta semplicemente di incollare Volume 1 e Volume 2 insieme. Tarantino ha operato modifiche significative, alcune sottili, altre che trasformano radicalmente l’esperienza visiva e narrativa dell’opera.
Il primo cambiamento si vede nei primissimi secondi. La celebre citazione che apre Volume 1, “La vendetta è un piatto che va servito freddo”, attribuita provocatoriamente ai Klingon di Star Trek, è stata sostituita. Quella scelta, per quanto divertente e coerente con l’umorismo pop di Tarantino, era destinata al pubblico americano. Quando il film arrivò in Giappone, il regista preferì un omaggio più sentito e appropriato: una dedica a Kinji Fukasaku, il leggendario regista di Battle Royale, scomparso nel 2003. Fukasaku rappresentava per Tarantino non solo un maestro del cinema action giapponese, ma un’influenza diretta per l’estetica e la brutalità coreografica di Kill Bill. In The Whole Bloody Affair, è questa dedica a Fukasaku a dare il via alla storia, indipendentemente dalla regione di proiezione.
Poi c’è la battaglia. La sequenza nella Casa delle Foglie Blu è uno dei momenti più iconici del cinema d’azione degli anni 2000: Uma Thurman nei panni della Sposa che affronta decine di membri dei Crazy 88 in una danza mortale di katane e sangue. Ma c’è un dettaglio che molti spettatori hanno dimenticato o non hanno mai saputo: gran parte di quella sequenza, nel Volume 1 originale, era in bianco e nero. Non per una scelta estetica, ma per una necessità pratica. La violenza estrema di quella scena rischiava di far ottenere al film il temuto rating NC-17, che avrebbe limitato drasticamente la distribuzione e spaventato molti spettatori, ancora legati all’associazione con il vecchio rating X. Il trucco per ottenere una classificazione R fu semplice quanto efficace: desaturare il colore nei momenti più cruenti. Senza il rosso vivo del sangue, la MPAA concesse il via libera.
Oggi le regole sono cambiate, e anche la sensibilità del pubblico. The Whole Bloody Affair viene distribuito come film unrated, senza classificazione. Questo significa una cosa sola: la battaglia nella Casa delle Foglie Blu è mostrata finalmente a colori, come Tarantino l’aveva girata. Ogni fiotto di sangue, ogni sprazzo scarlatto, ogni dettaglio viscerale che era stato sacrificato sull’altare della censura ora esplode sullo schermo nella sua gloria originale. È un’esperienza completamente diversa, più viscerale, più fedele alla visione del regista.
C’è poi la questione del cliffhanger. Quando Volume 1 e Volume 2 erano film separati, il finale del primo capitolo era stato costruito per stuzzicare l’appetito degli spettatori. Clip dal secondo volume, frammenti di dialogo, anticipazioni strategiche. Tra queste, la rivelazione più importante: Bill che chiede a Sophie Fatale se la Sposa sa che sua figlia è ancora viva. Era uno shock narrativo perfettamente calibrato per far parlare il pubblico in attesa dell’uscita del seguito. Ma in The Whole Bloody Affair, tutto questo materiale promozionale è stato rimosso. Non serve più un gancio quando non c’è intervallo tra un film e l’altro, solo un’intermissione. Il pubblico scopre che la figlia della Sposa è viva nello stesso momento in cui lo scopre lei stessa, nella scena finale, di fronte a Bill. La rivelazione riconquista così tutta la sua potenza drammatica, senza anticipazioni.
E poi c’è l’animazione. La sequenza animata che racconta l’origine di O-Ren Ishii nel Volume 1 era già uno dei momenti più audaci del film, un omaggio dichiarato al cinema d’animazione giapponese e, sorprendentemente, a un thriller Bollywood, Aalavandhan. Ma quella sequenza, come gran parte del film, era stata compressa per esigenze di durata. In The Whole Bloody Affair, Tarantino ha aggiunto oltre sette minuti di animazione inedita, espandendo il backstory di O-Ren e arricchendo la sua caratterizzazione. Non sono semplici scene di riempimento: approfondiscono la psicologia del personaggio, rendono la sua tragedia ancora più stratificata e danno più peso al suo confronto finale con la Sposa.
The Whole Bloody Affair non è dunque un semplice esperimento per collezionisti ossessivi. È il ripristino di un’opera mutilata, la restituzione al pubblico della visione completa di un autore che ha sempre saputo esattamente cosa voleva raccontare e come. È un film che respira diversamente, che scorre con un ritmo diverso, che colpisce con una forza diversa. È Kill Bill come doveva essere dal primo fotogramma.
Dopo vent’anni di attesa, Tarantino ha finalmente il controllo totale sulla sua creatura. E noi, finalmente, possiamo vederla nella sua forma definitiva. La vendetta, dopotutto, è davvero un piatto che va servito freddo. Anche quando si tratta della vendetta di un regista contro le forbici di uno studio.