C’è un momento preciso in cui un mito può essere salvato dalla fossilizzazione: quando qualcuno decide di ignorare tutto ciò che si è detto su di lui e torna alla fonte.

È quello che ha fatto Luc Besson con Dracula, il vampiro più celebre della storia, quello che abbiamo visto declinato in mille varianti tra zanne insanguinate, mantelli svolazzanti e castelli tenebrosi. Ma il regista francese, presentando il suo Dracula – L’amore perduto alla ventesima edizione del Festival del Cinema di Roma il 24 ottobre 2025, ha ribaltato ogni aspettativa con una dichiarazione disarmante:

“Tutti parlano del sangue e dei denti, io ho riletto il libro e ho scoperto che parla di un uomo che aspetta la sua donna reincarnata per quattrocento anni”.

La genesi del progetto ha qualcosa di profondamente cinematografico nella sua casualità. Eravamo nel New Jersey, sul set di Dogman, quando Besson e Caleb Landry Jones hanno cominciato a fantasticare sul loro prossimo lavoro insieme.

“Abbiamo buttato lì un po’ di nomi: De Gaulle, Cesare, Dio, Dracula. E proprio quel nome ci ha colpito”

ha raccontato il regista durante la conferenza stampa. Da quella conversazione spontanea è nato un film che vuole essere tutto tranne ciò che ci aspetteremmo da un’ennesima rivisitazione del conte transilvano. Niente orrore macabro alla Robert Eggers, nessuna oscurità infettiva come quella vista in Nosferatu. Besson ha confessato senza mezzi termini:

“Sono molto interessato alle storie d’amore, odio gli horror e mi spaventano”.

Ed è proprio questa paura dichiarata del genere horror a rendere il suo approccio così affascinante. Il regista ha scelto di esplorare il nucleo emotivo della creatura di Bram Stoker, quella dimensione umana e malinconica che spesso viene sacrificata sull’altare dello spettacolo gotico. Il risultato è un Dracula che parla di desiderio, perdita e dell’impossibilità di lasciar andare ciò che si ama. Un vampiro che non morde per istinto predatorio, ma che porta addosso il peso di una ferita che non si rimargina da secoli: l’amore perduto.

Ma c’è di più. Besson ha intessuto nella sua narrazione una riflessione profonda sul tema della fede e del dubbio, trasformando il film in un’indagine esistenziale.

“La fede è un’ipotesi, ma se ti aiuta a stare meglio, allora diventa qualcosa di bellissimo”

ha spiegato il regista. Nel film, questa dimensione spirituale si intreccia con la domanda cruciale: la sofferenza di Dracula è davvero colpa divina? È un castigo o semplicemente il destino crudele di chi ama troppo? La storia diventa così un dialogo silenzioso tra il sacro e il profano, tra la ricerca di redenzione e l’impossibilità del perdono.

Sul piano visivo, Besson non ha lasciato nulla al caso. Ha chiesto al suo direttore della fotografia Colin Wandersman di trascorrere quanto più tempo possibile tra i quadri del Louvre.

“Nei musei c’è arte, qualcosa che non si trova su Netflix”

ha sottolineato con una punta di provocazione. Questa scelta estetica si traduce in un film che ambisce a restituire al cinema quella profondità pittorica, quella capacità di comporre l’immagine come fosse un quadro fiammingo o un dipinto romantico. Ogni inquadratura diventa un tentativo di trasmettere emozioni attraverso la luce, il colore, la composizione, ricordandoci che il cinema, prima di tutto, è arte visiva.

Il cast stellare che accompagna Besson in questa avventura ha condiviso l’entusiasmo per un progetto così fuori dagli schemi. Zoe Sidel, una delle interpreti principali, ha descritto il film come un’esperienza trasformativa:

“Questo Dracula è più tenero. La giovane donna che ero su quel set e quando sono andata via sono due donne diverse. Sono stati tutti molto pazienti e generosi con me”.

Per l’attrice, il set si è trasformato in uno spazio di crescita emotiva, dove la danza e la musica condivise con Landry Jones sono diventate strumenti per costruire un’intimità autentica davanti alla macchina da presa.

“Amo il messaggio d’amore del film”

ha aggiunto, confermando come l’approccio di Besson abbia saputo nutrire non solo il prodotto finale, ma anche chi lo stava creando.

Accanto a loro, Christoph Waltz e Matilda De Angelis completano un ensemble che promette di dare vita a questa rilettura inedita del mito. La scelta degli attori non è casuale: Besson ha sempre privilegiato interpreti capaci di portare sullo schermo una complessità emotiva che vada oltre la semplice recitazione, attori che sappiano incarnare le contraddizioni dei loro personaggi.

Prodotto da EuropaCorp e LBP Productions, con una durata di 129 minuti, Dracula – L’amore perduto è stato distribuito nelle sale francesi il 30 luglio 2025 e arriverà nei cinema italiani il 29 ottobre dello stesso anno. Dopo il successo di Dogman, Besson conferma la sua capacità di reinventarsi, di affrontare generi e storie sempre diverse senza perdere quella cifra autoriale che lo rende riconoscibile. È un regista che, come il suo Dracula, sembra sempre pronto a rinascere dalle proprie ombre, a guardare il mondo con occhi nuovi anche quando racconta figure che credevamo di conoscere a memoria.

In un panorama cinematografico sempre più affollato di reboot, remake e rivisitazioni, la scommessa di Besson è quella di restituire dignità letteraria e profondità emotiva a un personaggio troppo spesso ridotto a icona pop. Il suo Dracula non vuole spaventare: vuole commuovere, interrogare, far riflettere. Vuole ricordarci che dietro ogni mostro c’è sempre una storia d’amore incompiuta, un dolore che non trova pace, un’attesa che dura da quattrocento anni. E forse, proprio in questo, si nasconde la vera immortalità.

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