Alcune tragedie nella vita reale hanno il potere di riscrivere la finzione. E quando la perdita è così profonda, persino le scelte narrative più drammatiche impallidiscono davanti alla realtà.
È quello che è accaduto a Gen V, lo spin-off di The Boys che ha dovuto affrontare un lutto devastante: la morte di Chance Perdomo, l’attore che interpretava Andre Anderson, avvenuta poco prima dell’inizio delle riprese della seconda stagione.
La showrunner Michele Fazekas ha recentemente rivelato alla Television Academy come questo evento abbia radicalmente trasformato il finale della stagione 2. La sua decisione è stata netta, immediata, non negoziabile: nessun altro eroe sarebbe morto. Non dopo aver già perso Chance Perdomo nella vita reale e Andre Anderson sullo schermo. Qualsiasi morte fittizia sarebbe sembrata insignificante, quasi irriverente, di fronte alla tragedia vera che aveva colpito la produzione.
Le parole di Fazekas non lasciano spazio a interpretazioni. La perdita di Perdomo ha guidato riscritture significative dell’intera stagione, modificando non solo la trama ma l’essenza stessa del finale. Inizialmente, almeno un eroe principale doveva morire nell’episodio conclusivo. Questa scelta avrebbe frammentato il gruppo, lasciando i protagonisti divisi e la stagione avvolta in un’ombra ancora più cupa. Ma dopo la morte dell’attore, quella direzione narrativa è diventata impensabile.
Il risultato è un finale che celebra la vita invece di moltiplicare i lutti. Marie Moreau e i suoi amici terminano la stagione uniti, non spezzati. Certo, il villain Thomas Godolkin viene eliminato da Marie, e Doug, l’uomo che controllava, cade per mano di Black Noir II. Ma i protagonisti, quelli che abbiamo imparato a conoscere e amare, sopravvivono tutti. E questa non è una scelta narrativa casuale o dettata da convenienza: è un atto di rispetto, una dichiarazione di intenti che pone l’umanità al di sopra dello shock value.
L’assenza di morti eroiche ha permesso alla stagione di respirare diversamente. Ha lasciato spazio a momenti di autentica connessione emotiva: Annabeth che chiama Marie sua sorella e la definisce un’eroina, Polarity che promette a Emma Meyer di continuare a vivere per Andre. Sono istanti che toccano corde profonde, che ricordano come anche in un universo saturo di violenza e cinismo come quello di The Boys, ci sia sempre posto per la speranza e la solidarietà.
Il personaggio di Andre, seppur assente fisicamente, aleggia su tutta la stagione attraverso suo padre Polarity, interpretato da Sean Patrick Thomas. Consumato dal dolore, Polarity cerca di onorare la memoria del figlio facendo la cosa giusta. È una rappresentazione toccante del lutto, un modo per mantenere viva la presenza di Andre senza tradire la realtà della perdita di Chance Perdomo.
La stagione 2 di Gen V si conclude quindi su una nota prevalentemente ottimista. Marie e i suoi alleati, dopo aver collaborato con Polarity e molti altri giovani eroi per fermare Godolkin, entrano a far parte della resistenza capeggiata da Annie January, alias Starlight. È un ponte diretto verso la quinta stagione di The Boys e il confronto finale con Homelander. Un setup che promette battaglie epiche, ma che nasce da una scelta profondamente umana.
Fazekas ha dimostrato che la serialità televisiva può essere flessibile, sensibile, capace di adattarsi quando la vita impone cambiamenti inaspettati. Gen V rimane fedele al DNA del franchise: violento, grottesco, senza peli sulla lingua. Ma il cuore pulsante della seconda stagione batte a un ritmo diverso, più consapevole della fragilità dell’esistenza. E forse, proprio per questo, più potente di quanto sarebbe potuto essere seguendo il piano originale.
In un’epoca in cui il pubblico è bombardato da colpi di scena sempre più estremi, la decisione di non uccidere nessun protagonista per onorare una perdita reale rappresenta un atto di coraggio creativo. Non è debolezza narrativa, ma una scelta che eleva la serie al di sopra del semplice intrattenimento. Perché alcune storie, a volte, devono cambiare. E alcune vite, anche quando non ci sono più, continuano a plasmare il mondo che hanno lasciato.