La miniserie evento firmata da Stefano Sollima racconta il Mostro di Firenze con sguardo d’autore e una tensione che va oltre il delitto. Un viaggio nelle zone grigie della verità.
Dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia, Il Mostro è arrivato su Netflix e ha subito conquistato il dibattito. Quattro episodi, un regista che conosce la grammatica del potere e della violenza (da Romanzo criminale a Suburra), e una delle pagine più oscure della cronaca italiana: i delitti del cosiddetto Mostro di Firenze.
Ma dimenticate il racconto tradizionale del serial killer: Sollima costruisce un mosaico. Un puzzle di prospettive, sospetti e bugie che si incastrano senza mai dare una risposta definitiva. E in quell’ambiguità — nella verità che si sbriciola — la serie trova la sua forza.
Firenze, primi anni ’80. Una coppia viene trovata senza vita in un’auto tra gli ulivi. È solo l’inizio di una lunga scia di sangue che segnerà per sempre l’Italia.
Attraverso lo sguardo di giornalisti, magistrati, poliziotti e familiari, Il Mostro alterna realtà e ricostruzione, fede e ossessione, fino a trasformare l’indagine in un labirinto morale. Nessuno è innocente, e la giustizia diventa un terreno di menzogne e silenzi.
Un ensemble di altissimo livello: Michele Riondino, Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Claudia Pandolfi e Pietro Castellitto guidano un racconto corale dove ogni volto nasconde un segreto.
Borghi lavora di sottrazione, Riondino offre il punto di vista più “terreno”, Lo Cascio è un potere che scricchiola, e la Pandolfi firma forse la sua interpretazione più intensa e spezzata.
Non ci sono eroi, non ci sono mostri riconoscibili: solo persone intrappolate in una paura collettiva.
Sollima non cerca la cronaca, ma la percezione.
Ogni episodio cambia prospettiva come in un Rashomon contemporaneo: la verità si costruisce (e si distrugge) a ogni inquadratura. La fotografia di Paolo Carnera sporca la luce, incupisce i volti, restituisce un’Italia che puzza di fango e benzina.
Il montaggio frantumato amplifica la tensione, mentre la colonna sonora resta sottopelle, più rumore che musica. È un true crime atipico, fatto di vuoti, non di risposte.
Il Mostro è un racconto che divide.
C’è chi lo troverà troppo freddo, distante, e chi invece ne amerà la precisione chirurgica. Non è una serie che emoziona — è una serie che interroga. E Sollima sembra dirci che il vero mostro non è mai solo un uomo, ma l’intero sistema che lo genera e lo giudica.
La sceneggiatura evita il morbo e la spettacolarizzazione, preferendo un linguaggio da inchiesta visiva. Il risultato è un’opera densa, ipnotica, che affascina quanto disorienta.
Con Il Mostro, Netflix trova un prodotto di altissimo livello tecnico e una riflessione potente sulla giustizia, la memoria e la paura.
Sollima firma una miniserie che non cerca di spiegare, ma di mostrare — e nel farlo, mette lo spettatore davanti al proprio bisogno di capire.
Non è una serie per tutti, ma è esattamente quella che serviva: un racconto italiano che osa guardare dentro il buio, senza accendere la luce.