Ci sono luoghi dove il progresso sembra essersi fermato a un tempo sospeso, dove le superstizioni dettano ancora legge e dove il semplice fatto di essere donna può precluderti un’intera esistenza.
Rio Turbio, sperduto bacino carbonifero nella Patagonia argentina, è uno di questi luoghi. Qui, alle donne è vietato mettere piede all’interno delle miniere di carbone: portatrici di sfortuna, dicono. Causa di crolli minerari, sussurrano. Una credenza ridicola quanto radicata, che nessuno ha mai osato sfidare. Fino a quando non è arrivata Carlita.
Miss Carbón è il film che racconta questa rivoluzione silenziosa, questa sfida lanciata contro un mondo di tenebra – letterale e metaforica. Presentato in concorso nella sezione Progressive Cinema alla ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma e in arrivo nelle sale grazie a Fandango, il lungometraggio diretto da Agustina Macri si ispira alla vicenda reale di Carla Antonella Rodríguez, la prima donna transgender a lavorare come minatrice in quelle viscere di terra e carbone dove la mascolinità tossica regna sovrana.
“Ho sognato di essere una minatrice prima di sognare di essere una donna”.
È questa la frase che apre un universo, che ribalta ogni aspettativa. Carlita, al compimento dei diciotto anni, viene assunta dopo un periodo di addestramento per lavorare all’interno della miniera. Ancora uomo per la legge, riesce a realizzare il suo primo sogno: scendere nel buio, estrarre il carbone alla pari dei colleghi, dimostrare il proprio valore. Ma quando completa la transizione, quando finalmente il suo corpo riflette la sua anima, arriva la “rilocazione” in amministrazione. Un eufemismo elegante per dire: qui dentro, donne non ne vogliamo.
Eppure quello che Carlita si era guadagnata con il sudore e la determinazione non glielo può togliere nessuno. Né una superstizione medievale, né il rifiuto del padre, né gli ostacoli di una società patriarcale e arretrata che vorrebbe cancellarla. La regista di Soledad costruisce un racconto che sa essere intimo senza chiudersi in se stesso, che unisce la dimensione personale della protagonista alla maestosità naturale di un paesaggio patagonico che toglie il fiato. La miniera diventa simbolo, metafora mai smaccata di quel rito di passaggio che ogni essere umano attraversa quando decide di essere finalmente se stesso.
Agustina Macri predilige una cifra narrativa che mescola realismo e onirico, dove i momenti in cui Carlita si astrae dal contesto diventano respiri necessari, finestre su un mondo interiore ricco e complesso. Non c’è mai l’urlo, c’è il sussurro di una lotta che diventa rivoluzione. Una rivoluzione in parte già compiuta: l’Argentina è oggi tra i paesi più avanzati per quanto riguarda i diritti LGBT, e la storia di Carlita ne è testimonianza vivente.
A incarnare questa donna resistente e combattiva ci pensa Lux Pascal, sorella del più celebre Pedro, attrice cilena naturalizzata statunitense e attivista transgender nella vita reale. La sua interpretazione è di una naturalezza straordinaria, capace di restituire ogni sfumatura di un personaggio che non è mai vittima ma sempre protagonista del proprio destino. Pascal sa essere fragile e indomita, vulnerabile e fortissima, esattamente come la Carlita vera ha dimostrato di essere.
“Il mio unico desiderio è che questo film vada oltre lo schermo, e possa generare riflessione, nuove possibilità, nuove forme di vita, in cui ogni esistenza valga la gioia di essere vissuta”.
Sono le parole di Carla Antonella Rodríguez, e sono anche il manifesto di un cinema che non si accontenta di raccontare ma vuole trasformare. La sceneggiatura di Erika Halvorsen e Mara Pescio sa trovare il giusto equilibrio tra denuncia sociale e racconto umano, mentre la fotografia cattura quella natura potente e ostile della Patagonia che, come ricorda la stessa Macri, “impone la sopravvivenza”.
Miss Carbón è un film appassionato che non cede mai all’urlato, che preferisce la carezza alla martellata, pur senza rinunciare alla forza del proprio messaggio. È la storia di una sopravvissuta che ha scelto di non limitarsi a sopravvivere, ma di vivere pienamente, nel buio di una miniera come nella luce del giorno. È la prova che i sogni, anche i più impossibili, meritano di essere inseguiti. Soprattutto quando il mondo intero ti dice che non puoi averli.