C’è un nome che attraversa gli anni di piombo come un’ombra, sfiorata dai riflettori della Storia ma mai pienamente illuminata.
Toni Chichiarelli: un giovane arrivato a Roma tra gli anni 70 e 80 con il sogno di diventare un grande artista, che invece divenne qualcos’altro. Un falsario. Il più grande di tutti. Un uomo capace di mettere il piede ovunque senza mai apparire troppo, dal mondo dei fascisti a quello dei brigatisti, dai servizi segreti fino al cuore pulsante del caso Moro.
È questa figura sfuggente, ambigua e per molti versi ancora misteriosa, a tornare sotto i riflettori con Il falsario, il nuovo film diretto da Stefano Lodovichi e interpretato da Pietro Castellitto, che arriverà su Netflix il 23 gennaio 2026. Presentato alla ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma, il progetto nasce da un’intuizione lontana nel tempo ma potente nella sostanza.
Tredici o quattordici anni fa, il produttore Riccardo Tozzi e lo sceneggiatore Sandro Petraglia scoprono un libretto prezioso: Il falsario di Stato. Uno spaccato noir della Roma degli anni di piombo, firmato dai giornalisti Nicola Biondo e Massimo Veneziani. Un racconto che rivela un personaggio fino ad allora quasi sconosciuto, mai coinvolto in processi dalla magistratura ma emerso durante i lavori della seconda commissione Moro. Un giovane pieno di talento che realizzò dipinti falsi e, soprattutto, il comunicato numero 7 delle Brigate Rosse, quello che indicava il corpo di Aldo Moro nel lago della Duchessa. Un documento falso che diventò Storia.
Per raccontare questa vicenda, Tozzi e Petraglia hanno scelto una strada precisa: affidare la regia a un giovane che non avesse vissuto quel periodo. Stefano Lodovichi, chiamato tre anni e mezzo fa, si è trovato di fronte alla sfida di reinterpretare gli anni 70 attraverso lo studio, il cinema dell’epoca e l’immaginazione. Il risultato è uno sguardo diverso, più distaccato ma non meno appassionato, su un’Italia lacerata tra rosso e nero, tra terrorismo e complotti, tra verità e menzogna.
Toni Chichiarelli emerge dal racconto come una figura trasversale del dietro le quinte. Non aveva una posizione politica netta, e questo, in un’epoca in cui bisognava necessariamente scegliere da che parte stare, lo rendeva anomalo. Lodovichi lo ha interpretato come un precursore involontario: un giovane che rappresenta il disinteresse delle nuove generazioni verso la Cosa pubblica, un atteggiamento che oggi appare ancora più marcato. Una riflessione che ha suscitato dibattito già durante la presentazione, con Petraglia che ha controbattuto citando i ragazzi in piazza per la Palestina, segno che forse la passione politica non è del tutto sopita.
Pietro Castellitto, reduce dall’interpretazione di Riccardo Schicchi in Diva futura, ha affrontato il ruolo di Toni con dedizione. Per prepararsi ha lavorato con un consulente pittore, figlio di un falsario, che non solo ha realizzato tutti i dipinti del film ma ha insegnato all’attore le tecniche della contraffazione artistica. Un lavoro artigianale e certosino, che restituisce autenticità a un personaggio di per sé inafferrabile.
Ma chi era davvero Toni? Le testimonianze sono contraddittorie: c’è chi lo definiva fascista, chi comunista. La verità è che era un artista il cui talento venne messo al servizio dell’ambizione, fino a sfiorare la politica e la criminalità in un gioco che divenne troppo grande per essere governato. Il suo legame con la Banda della Magliana, i servizi segreti e il caso Moro ne fanno una figura chiave di quegli anni oscuri, eppure così poco raccontata.
Il film diventa anche un’occasione per riflettere sul nostro presente. In un’epoca dominata dalle immagini false, dai deepfake e dai contenuti generati dall’intelligenza artificiale, Toni Chichiarelli appare come un avanguardista. Creava documenti falsi e opere d’arte contraffatte quando ancora il concetto di fake news non esisteva. La sua storia è un monito e insieme una profezia: la rappresentazione, anche falsa, può assumere un peso enorme nella costruzione della realtà.
Castellitto, che dopo i suoi film da regista I predatori ed Enea si prepara a tornare dietro la macchina da presa, ha dichiarato di aver avuto la fortuna di lavorare con una troupe motivata e di essere pronto a un nuovo round come filmmaker. Ma prima c’è da attraversare questa Storia, quella degli anni 70, che lui non ha vissuto ma che sente vibrare nei racconti di suo padre Sergio Castellitto e di Riccardo Tozzi.
Erano anni feroci, dice Pietro. Anni in cui i giovani avevano un futuro tutto da scrivere e un sentimento vivo di poter cambiare la Storia. Oggi quella Storia è già scritta, e forse per questo siamo tutti un po’ più rassegnati. Ma nel racconto di Toni Chichiarelli, il falsario che ingannò l’Italia, c’è ancora qualcosa da scoprire. Qualcosa che continua a interrogarci.
Ieri alla Festa del Cinema di Roma, tra gli ospiti c’era anche Dante Chichiarelli, figlio di Toni, nato nell’anno della morte del padre. Lavora nel mondo della ristorazione, lontano dai riflettori. Un’altra ombra, un altro pezzo di una storia che forse non avrà mai una versione definitiva. Ma è proprio questo il fascino del falsario: lasciare dietro di sé più domande che risposte, più suggestioni che certezze. E una traccia indelebile negli anni che non dimenticheremo mai.