Esiste un momento in cui la musica smette di essere semplice intrattenimento e diventa testimonianza di vita.
Allevi – Back to Life di Simone Valentini, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2025, è esattamente questo: un documentario che non si accontenta di celebrare un virtuoso del pianoforte, ma scava nell’essenza di un uomo che ha fatto della fragilità la sua forza più rivoluzionaria.
Il film unisce la dimensione del concerto a quella autobiografica, creando una simbiosi perfetta tra suono e immagine. Non è solo la cronaca di un ritorno alle scene dopo la malattia, ma un viaggio emotivo che oscilla tra passato e presente, tra la tempesta dell’estro creativo e la quiete ritrovata dopo la battaglia contro il mieloma. Come suggerisce il titolo, che richiama uno dei brani più celebri contenuti nell’album Joy, questa è la testimonianza di un salto verso la vita.
Ma chi è davvero Giovanni Allevi? La domanda attraversa l’intero documentario come un leitmotiv. Certo, la genialità è innegabile, il valore delle composizioni fuori discussione. Eppure ciò che emerge con forza cristallina è l’umano: quell’entusiasmo contagioso, quella gentilezza rara che trasforma ogni incontro in un momento di condivisione autentica. Per Allevi a ogni lettera corrisponde una nota, per Valentini a ogni gesto si lega un sorriso, la voglia irrefrenabile di sentirsi vivi.
C’è una sequenza che vale più di mille parole: Allevi al pianoforte sotto la pioggia, poco prima del suo live. Quella scena racchiude l’essenza di un animo che non conosce requie, di un artista per cui la musica non è professione ma necessità esistenziale. È la prova tangibile che per lui le note dello spartito rappresentano passione allo stato puro, novità continua, sfida agli schemi consolidati.
La sua interpretazione della musica classica ha rotto le convenzioni proprio perché ha saputo creare commistioni audaci con generi contemporanei come il jazz e il pop. Come ama ripetere: “Portare un pubblico di giovani davanti a un’orchestra sinfonica oggi è rivoluzionario”. È questo desiderio di essere controcorrente che lo ha sostenuto anche durante il ricovero in ospedale, quando persino dalla parola mieloma ha saputo far nascere una composizione. Per Allevi la musica è melodia introspettiva, un modo per dare forma al caos e significato al dolore.
Allevi – Back to Life diventa così un invito a non accettare mai la sconfitta, a trovare bellezza anche nei momenti più bui. Ogni esecuzione catturata dal documentario è un atto di speranza, un’inaspettata ode alla vita che mescola toni diversi: elementi nostalgici e preghiere trattenute, celebrazione e vulnerabilità. È un ritratto che esalta senza retorica, che trova la sua misura nei piccoli gesti, negli sguardi rubati, nella dignità con cui si affronta la sofferenza.
Il documentario di Valentini si inserisce in quel filone cinematografico che da tempo esplora il legame profondo tra cinema e musica. Se da un lato abbiamo i biopic di finzione dedicati alle star del palcoscenico, dall’altro esistono testimonianze documentaristiche che possono limitarsi a registrare un concerto o spingersi verso toni più intimamente autobiografici. Questo film sceglie la seconda strada, e lo fa con una sensibilità che rispetta sia l’artista sia lo spettatore.
Ciò che resta, oltre alle note e alle immagini, è la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di più grande di un semplice documentario musicale. È la storia di un ritorno, certo, ma soprattutto è la dimostrazione che l’arte può essere uno strumento di resilienza, che la bellezza può nascere dalla tempesta e che, in fondo, la vera rivoluzione sta nel continuare a suonare anche quando il mondo sembra crollare.